Questo dipinto fa parte del cospicuo gruppo di opere di Rubens conservate nelle collezioni fiorentine, in particolare presso la Galleria Palatina e agli Uffizi. I Medici nutrirono particolare interesse per il pittore di Anversa, come del resto testimonia la presenza nelle raccolte di famiglia di capolavori assoluti quali Le tre Grazie, appartenute al cardinale Leopoldo de’ Medici, l’Autoritratto inviato dall’Elettore Palatino a Cosimo III nel 1713, la Madonna della cesta, ospitata nelle stanze del Gran Principe Ferdinando, insieme alla grande tela con Le conseguenze della guerra. Della raccolta di Ferdinando fece parte anche il Cristo risorto, qui esposto dopo un accurato restauro che ha permesso il consolidamento della materia pittorica e la rimozione delle vernici ossidate, restituendo leggibilità alla ricca gamma cromatica che costituisce uno dei maggiori meriti dell’opera, sapientemente giocata sull’intreccio di pennellate veloci e sul contrasto tra la calda tonalità di rossi accesi e le piu fredde nuances di bianchi e verdi delle carni e dell’azzurro del cielo. La tela, menzionata nell’inventario dei quadri di Palazzo Pitti redatto tra il 1697 e il 1708 come un ≪Cristo in mano una mazza e in capo un panno bianco, che viene retto da un angelo vestito di rosso, che sta con un ginocchio inginocchiato su il detto sepolcro e dui angiolini per aria che reggono una cortina, tutte figure intere al naturale≫ e successivamente nell’inventario post mortem del Gran Principe (1713), era con tutta probabilità un dono dell’Elettore Palatino al cognato Ferdinando secondo una interessante ipotesi di Marco Chiarini, fondata sulla corrispondenza intercorsa tra i due parenti dal gennaio all’aprile del 1696. Nel carteggio infatti l’Elettore informa il Gran Principe di avergli procurato un importante dipinto di Rubens, ricevendo risposta vivamente positiva.
Il tema della Resurrezione di Cristo fu affrontato piu volte da Rubens, a partire dalla gran tela approntata per il cenotafio del tipografo e libraio fiammingo Jan Moretus, eseguito tra il 1611 e il 1612 nella Cattedrale di Onze Lieve Vrouw ad Anversa.
Altre versioni, cronologicamente un poco più tarde, si trovano alla Columbus Gallery of Fine Arts e in collezione De Clercq ad Anversa, in cui la posizione ferma e imperiosa del Cristo, che richiama quella di una statua antica di Giove, riflette lo studio sull’antico maturato negli anni italiani. Ulteriori varianti sono a Potsdam, Chateau de Sans Souci – in questo caso il Cristo e colto in una posa che rammenta piu da vicino il Cristo del sepolcro Moretus – e alla Columbus Gallery of Fine Arts. Quest’ultimo e il più vicino all’esemplare fiorentino nell’elaborato moto in contrapposto del Cristo, al centro della scena. Mentre nel dipinto americano il piede destro di Cristo si appoggia al teschio schiacciando contemporaneamente il serpente ad esso avvinghiato, nel quadro della Palatina il calcagno destro, persi i due simboli della morte e del peccato, tocca la cornice del sepolcro come a darsi un ultimo, formidabile slancio prima di ergersi, trionfante, sulla pietra sepolcrale. Intorno al corpo vigoroso, memore degli studi sugli Ignudi michelangioleschi, si raccolgono concitati l’angelo che svela con un gesto deciso il giovane risorto e gli angiolini a sinistra, gemelli di quelli che accompagnano il Bambino morto portato in cielo dagli angeli dell’Ashmolean Museum di Oxford (1615 circa). Le spighe di grano che affiorano dal sepolcro sono un motivo che compare spesso nei dipinti di Rubens, come ad esempio la Lamentazione sul Cristo morto del Liechtenstein Museum di Vienna (1613-1614). Esse sono state ricondotte a una simbologia eucaristica che vede il sepolcro come un altare sul quale viene celebrata la presenza del corpo di Cristo. Anche in conseguenza delle analogie di stile con altri dipinti documentati, la cronologia piu accreditata dalla critica si attesta intorno al 1615-1616 circa.
Anna Bisceglia