Il cratere, di eccezionale rilevanza nella produzione ceramica apula, faceva parte di un ricco corredo da una sepoltura di Ruvo di Puglia già depredata al momento del ritrovamento nel 1834, che comprendeva anche tre anfore e un deinos, creazioni del Pittore di Dario, unite da uno specifico programma figurativo.
Sul cratere il tema del mito si unisce a quello storico, proponendo, secondo un’accreditata ricostruzione, attraverso la celebrazione delle imprese di Alessandro Magno il sostegno alla spedizione di Alessandro il Molosso re dell’Epiro e zio del Macedone, in Puglia.
Il vaso ebbe una travagliata vicenda conservativa dall’età antica e fu, nell’Ottocento e Novecento, sottoposto a restauri e integrazioni, non esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dal 2004, quando si fratturò nella parte inferiore con il distacco di molti frammenti. Il nuovo restauro è stato mirato a ricomporre il cratere e rinforzare i punti di frattura e quindi a renderlo fruibile al pubblico; è stata inoltre un’importante occasione di studio scientifico e di analisi tecnico-iconografica.
La rappresentazione dello scontro tra Alessandro e Dario costituisce la scena centrale del cratere e si sviluppa in tre registri. Quello superiore è destinato agli dei che il pittore rende riconoscibili con uno sforzo quasi didascalico: Poseidone, Afrodite con Ermes, Pan, Era verso cui incede Nike, Zeus e i gemelli Artemide e Apollo.
La tranquillità conferita dalla pacata postura delle divinità è interrotta dalla corsa della quadriga di Atena a cui corrisponde, nel registro inferiore, il carro del re Dario di cui si conservano solo i quattro cavalli e parte del corpo dell’auriga, ma che probabilmente vedeva il re persiano rivolto ad Alessandro e con braccio destro aperto verso l’inseguitore a esprimere paura e a creare una relazione con il nemico. Tale rapporto è interrotto da due guerrieri persiani posti tra il condottiero macedone e la quadriga, vestiti all’orientale e perciò confusi con Amazzoni dai primi studiosi che descrissero il cratere. Alessandro, barbato, con elmo apulo corinzio, incede su un cavallo senza sella; veste corazza e schinieri, e colpisce con una lancia il persiano davanti a lui.
La non corrispondenza con l’immagine ‘ufficiale’ e diffusa del re macedone, giovane e senza barba – di cui è rimasta testimonianza grazie al mosaico della Casa del Fauno a Pompei – e giustificabile con un’autonomia creativa del pittore apulo, che si avvale di semplici ‘convenzioni figurative’ per rendere in pittura un avvenimento storico del quale era appena giunta la fama in Occidente. Il frenetico combattimento dei persiani connotati da abiti orientali contro i greci, in nudità con mantelli svolazzanti ed elmi, continua nel registro inferiore.
Tale scena è separata da un fitto ed elegante motivo a palmette e girali vegetali della porzione del vaso sotto le anse, dalla raffigurazione del mito di Demetra; la dea, con corta chioma e completamente avvolta in un ampio mantello in segno di lutto, sale sul carro di Helios alla ricerca della figlia Persefone rapita da Ade. In questo registro ‘alto’, quindi destinato agli dei, sono raffigurati Era e Zeus, Ermes e, sull’altro lato, si riconoscono un accigliato Poseidone e Selene al galoppo.
Del rapimento, che occupa lo spazio inferiore – gli Inferi del mito –, purtroppo lacunoso, rimangano solo le immagini di Ermes psicopompo, di Ecate divinità dell’oltretomba e di leggiadre fanciulle.
Ruolo attivo nella figurazione e conferito dal Pittore di Dario ai giovani armati a piedi e a cavallo che si muovono, nel registro mediano, sotto lo sguardo di Afrodite, seduta accompagnata da Eros, e preceduti da una Furia.
Si tratta di Coribanti, riconoscibili dalle vesti e dagli elmi frigi di alcuni di essi, dai cimbali, strumenti musicali con cui accompagnavano i riti della dea. La scelta di introdurre tali personaggi, anche se non coerentemente raffigurati – alcuni indossano infatti armature greche –, oltre a essere espressione della devozione a Demetra documentata nel territorio peuceta, è probabilmente giustificabile con il gusto di rappresentare personaggi a cavallo o su quadriga, che pervade l’intero cratere costituendone il leitmotiv. Il piede a campana è decorato con una gara a cavallo; due quadrighe in corsa sono raffigurate sul collo di entrambi i lati che presentano, nuovamente, il tema del rapimento amoroso: sul lato A, Eos bramosa rapisce il giovane Tithonos, accompagnata dai fratelli Helios su carro e Selene a cavallo, mentre due eroti sono in volo ad anticipare l’unione tra i due.
Sul lato B si ricorda un altro rapimento celebre, quello di Ippodamia, consenziente, da parte di Pelope, inseguito dal padre di lei Enomao la cui regalità è espressa dai tratti iconografici del condottiero, su carro guidato dall’auriga Mirtilo; una Furia gli si contrappone. Il mito espresso da pochi, ripetuti ed efficaci schemi iconografici, non cercava coerenza di racconto ma doveva suggerire allo spettatore antico ideali, credenze e valori a cui la società apula si affidava, in questo caso accompagnati dagli avvenimenti storici con i nuovi eroi protagonisti.
Federica Giacobello
Foto: Gennaro Morgese (SSBA Napoli)