I due reliquiari a tabella sono costituiti da 501 e 471 (in origine verosimilmente 510 per parte) oculi in rame argentato, giuntati da ganci e inframmezzati da lamiere di rame sbalzato a motivo vegetale, al cui centro sono incastonati vetri o pietre policromi. Ogni disco accoglie, dietro una lastra diafana, una reliquia inamovibile, avvolta in un tessuto e identificata da un cartiglio vergato, generalmente, in littera textualis quattrocentesca (34 cartigli sono posticci, 53 mancanti).
L’intervento di restauro ha risarcito l’effetto di rifulgenza dei reliquiari, precedentemente compromesso da sudiciume e fenomeni di ossidazione del rame, e ha restituito leggibilità alle lastre consentendo una ricognizione delle reliquie, inibita laddove le lastre sono troppo opacizzate. Le reliquie (oggi se ne contano 979) rappresentano una moltitudine di martiri, confessori e vergini d’ogni tempo e luogo, tra cui vari santi cari alla devozione pugliese – come i vescovi Nicola di Bari, Cataldo, Oronzo, Sabino, Leucio e Biagio, il papa Anacleto, l’arcangelo Michele, i martiri Pantaleone, Trifone, Vito, Modesto e Crescenzia –, e alla devozione meridionale, come i santi Gennaro, Paolino, Potito e Felice. Spiccano, per importanza, le reliquie della Vergine (il manto e i capelli), di Cristo (il legno della croce, la veste, la colonna della flagellazione, il Santo Sepolcro) e di san Pietro (quattro reliquie, tra cui una della croce del martirio), che una tradizione locale ricorda aver predicato in Andria.
La coppia di reliquiari era in origine montata a tergo delle tavole dell’Intercessione della Vergine presso Cristo in favore della città di Andria (Andria, Museo Diocesano) dipinte dal Maestro d’Andria, ante esterne di una pala reliquiario già sull’altare maggiore della cattedrale andriese, internamente dotata di una carpenteria tardogotica a cinque ordini intagliata e dorata (ora, mutila, nell’altare di San Riccardo), in cui si disponevano reliquiari mobili (ne sopravvivono integri, in cattedrale, 31 esemplari in legno dorato a forma di tempietto).
Senza escludere una copartecipazione, almeno finanziaria, del duca Francesco II del Balzo (1410- 1482), il committente della pala andrebbe riconosciuto nel carmelitano spagnolo Martino de Soto Major, vescovo di Andria e Montepeloso (ora Irsina, in Basilicata) dal 1471 alla morte avvenuta nel 1477, ricordato dalle fonti per una cospicua donazione di reliquie alla cattedrale andriese, in parte sottratte da Montepeloso. Questo sarebbe confermato dal rinvenimento, nei reliquiari, di due ossa di sant’Eufemia, patrona della cittadina lucana, e di altre reliquie di santi spagnoli come Celidonio, Isidoro confessore, Vincenzo Ferrer, Vincenzo di Saragozza, Paciano di Barcellona, Perfetto di Cordova, i diaconi di Tarragona, Leocadia, Giusta e Rufina.
La funzione della pala reliquiario andriese, scrigno rilucente di innumerevoli reliquie tempestato di materiali preziosi e policromi, si inscrive, in maniera unica e originale, in quella tradizione adriatica di pale reliquiario che vede, a Venezia, il suo prototipo nella Pala d’oro di San Marco e una delle attestazioni più importanti del Quattrocento nel polittico di San Tarasio di Ludovico da Forlì, Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna.
Tuttavia la tipologia della pala risponde a quella del Flügelaltar come Reliquienschrein diffusa tra il Nord Italia e il Nord-Est europeo, con attestazioni anche in Spagna, come testimonia il retablo relicario del monastero di Piedra (1390, Madrid, Real Academia de la Historia).
Ancora integra al tempo del vescovo Luca Antonio Resta († 1597), la pala fu, nel corso del Seicento, smembrata e ricomposta come ante d’armadio reliquiario nella cappella di San Riccardo. Da qui le ante furono rimosse nel 1963 in occasione di un restauro compiuto dal Gabinetto Restauri di Firenze che comportò l’asportazione dei reliquiari a tabella dal retro delle tavole, a seguito dell’errata convinzione che fossero il prodotto d’una superfetazione tardocinquecentesca.