La coppa è stata realizzata a fusione entro matrice e quindi rifinita mediante smerigliatura e molatura. Il corpo basso e cilindrico ha pareti quasi verticali che si innestano ad angolo retto sul fondo orizzontale. Il manufatto è apode, senza piede, anche se la superficie esterna del fondo presenta, attorno a un disco, due cerchi, il più esterno dei quali, leggermente più alto, doveva fungere da elemento di supporto. Le anse richiamano forme vegetali e si piegano ad angolo retto, con una sorta di spina verso l’esterno, a formare i due anelli, impostati verticalmente ai lati della coppa. Sono sormontate da una presa a pollice, trapezoidale e caudata che si fonde lateralmente con l’orlo attraverso una doppia dentellatura. Più di un quarto della parete esterna del manufatto vitreo è perduta, mentre il resto del corpo è ricomposto da un frammento di grandi dimensioni e otto pezzi più piccoli. Una delle due anse è mutila.
La coppa rientra in una particolare tipologia di vasellame potorio che risale all’età ellenistica, con realizzazioni eseguite esclusivamente in metalli preziosi, e si diffonde poi in età romana anche con altri materiali come pietra dura e cristallo di rocca o anche vetro e ceramica.
Nonostante la mancanza del piede e le dimensioni maggiori, l’esemplare vaticano mostra puntuali confronti con un gruppo di coppe biansate vitree rinvenute a Colonia e dintorni, in contesti collocabili all’incirca alla seconda metà del III-IV sec. d.C.
Altre coppe simili sono state rinvenute in Inghilterra, ma in contesti stratigrafici in genere più antichi e inquadrabili nell’ambito del I sec. d.C. Gli studiosi inglesi hanno proposto una nascita di questo tipo di coppa nel I sec. d.C., mentre gli esemplari di III-IV secolo rappresenterebbero una fase più tarda della produzione. La critica in ogni caso non è concorde e discute sull’origine e sulla tipologia.
La provenienza catacombale, da un cimitero urbano non precisato (forse San Sebastiano), della coppa in esame induce comunque a inquadrare la sue esecuzione nel III-IV secolo. È possibile anche una origine dal centro renano anche se vanno tenute presenti le differenze nelle dimensioni e nell’assenza del piede.
Il restauro ha riguardato principalmente l’eliminazione del vecchio supporto e la rimozione degli assemblaggi eseguiti in passato per la ricomposizione dell’ansa (posizionati in maniera errata). Il distacco e la pulitura dei frammenti è stato fatto mediante impacchi di soluzione alifatica. È seguita la pulitura meccanica con setole di martora, per eliminare la polvere superficiale. Con tamponi imbevuti di soluzione alifatica (70% alcool e 30% acetone) sono stati rimossi i vecchi residui di collante vinilico. Le zone con problemi di devetrificazione sono state trattate con resina acrilica disciolta nella concentrazione del 2% in tricloroetano. La ricomposizione dei frammenti è stata fatta con resina epossidica (Araldite 2020). Con la medesima resina epossidica (fatta colare entro due matrici in cera) è stata ricostruita parte della parete della coppa per garantire la staticità dell’ansa ed eliminare il vecchio supporto, garantendo una corretta lettura dell’opera e il rispetto delle esigenze estetiche.
Redazione Restituzioni