La collana, interamente d’oro, si articola in un’alta fascia composta da trentatré vaghi biconici, in una fila di trentuno pendenti a forma di foglia e in due coppie di catenelle; alle due estremità della collana, in corrispondenza dei fermagli, due delle quattro catenelle si raccordano, riducendosi a tre; i fermagli sono a forma di cuore e si concludono l’uno con un gancio, l’altro con un anello.
Il reperto fu rinvenuto casualmente in un terreno a nord-ovest della città romana di Altino (Venezia), nel 1985. È un gioiello eccezionale, del tutto isolato nel panorama dell’oreficeria altinate, mentre è tipologicamente analogo a un esemplare di produzione tarantina proveniente da Canosa, databile tra la fine III e gli inizi del II secolo a.C. Sulla base di questo confronto, si può identificare nella medesima città magnogreca la provenienza della nostra collana: d’altra parte Altino, già dal V secolo a.C., si dimostra aperta a scambi commerciali attraverso rotte adriatiche e mediterranee, ed è pertanto facilmente ipotizzabile l’importazione nella città lagunare, in età ellenistica tra il II e il I secolo a.C., di un monile di produzione tarantina, la cui preziosità e rarità rinvia con evidenza a una committenza particolarmente ricca, raffinata ed esigente.
Al momento del rinvenimento, contestualmente alla collana vennero alla luce alcuni frammenti di ferro, forse riconducibili alla serratura dello scrigno in cui sarebbe stato riposto il monile. L’ipotesi più plausibile è che esso sia stato tesaurizzato e nascosto durante la guerra civile romana del 44-31 a.C. fra Ottaviano (nipote di Cesare e futuro Augusto) e Marco Antonio, quando quest’ultimo operò una feroce repressione contro i Veneti, notoriamente a favore del partito cesariano, costringendoli a consegnare armi e denaro. In questa circostanza, qualche eminente esponente altinate avrebbe cercato di sottrarre il prezioso gioiello alla vendetta antoniana, celandolo sottoterra.
La collana presentava depositi di terriccio e tracce di prodotti di corrosione. È stata eseguita la pulitura con acqua deionizzata, tensioattivo, alcool e acetone, quindi si è proceduto meccanicamente con specilli, punte di legno e spilli, per asportare i residui non solubizzati.
Redazione Restituzioni