Il piccolo monumento in marmo riproduce, in dimensioni ridotte, il modello di un ciborio, ovvero il baldacchino che proteggeva l’altare eucaristico nelle chiese medievali. È a base quadrangolare ed è sostenuto da quattro colonnine, con capitelli decorati da foglie d’acanto e rosette. Sulle colonne si imposta una cupola con archi a tutto sesto, ai cui incroci sporge una palmetta. Sulla superficie esterna dell’arco frontale e di quello di sinistra corre un’iscrizione dedicatoria in greco, che recita: “in voto e per la salvezza della gloriosissima Anastasia”.
Il manufatto appartiene al Tesoro di San Marco e trova un suggestivo paragone nella grande edicola che sovrasta l’altare maggiore della Basilica veneziana. È probabile che l’oggetto fosse originariamente posto su un altare della cattedrale, impiegato come tabernacolo o reliquiario.
Il piccolo ciborio proviene da Costantinopoli e dovette giungere a Venezia dopo la presa di Bisanzio da parte dei crociati nel 1204. Da un punto di vista stilistico è inquadrabile nell’epoca protobizantina (VI-VII secolo). L’opera rientra forse in una categoria di marmi a produzione seriale realizzati da laboratori dell’isola di Proconneso (odierna Marmara) e destinati a una committenza di donatori o di comunità religiose per l’arredo delle proprie chiese.
L’elemento più interessante e più problematico è rappresentato dall’iscrizione. Una delle possibili letture identifica in “Anastasia” il nome della donatrice, una nobildonna vissuta alla corte di Bisanzio sotto l’imperatore Giustianiano (527-565). Un’altra ipotesi, basata sul significato della parola greca anastasis (“resurrezione”), interpreta il monumento come la raffigurazione del ciborio del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Più recentemente, l’“Anastasia” del pezzo è stata messa in relazione con il titolo che Gregorio Nazianzeno, vescovo di Costantinopoli tra il 379 e il 381, attribuì a una cappella e a una comunità della capitale: si trattava di una congregazione di fede nicena, assurta a simbolo di resurrezione (anastasis) poichè difendeva l’ideologia ortodossa dalla minaccia dell’eresia ariana. Nei pressi della cappella, sul finire del IV secolo, venne edificata una chiesa anch’essa chiamata Anastasia: forse il marmo proviene proprio da questo santuario, al quale dovette essere offerto in dono nel VI secolo.
Le superfici del ciborio erano rivestite da strati di sostanze grasse e cerose e di nero fumo con conseguente alterazione del colore. La pulitura è stata eseguita con tamponature di cotone e tricloroetilene, con applicazioni a tampone di acqua deionizzata, con una soluzione di bicarbonato d’ammonio e tensioattivo ove necessario e, infine, con risciacqui in acqua deionizzata. Le concrezioni non solubilizzate sono state rimosse con bisturi. Le superfici sono state consolidate con resina acrilica e protette con cera microcristallina.
Redazione Restituzioni