Lo strumento musicale proviene dall’eccezionale collezione di strumenti musicali del tenore Gennaro Evangelista Gorga (Broccostella, 1865 – Roma, 1957), che costituisce il nucleo originario delle raccolte del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, fondato a Roma nel 1974.
L’esame dello strumento, sottoposto a restauro in occasione della XIX edizione di Restituzioni non ha rivelato indicazioni sull’autografia del costruttore. L’indagine formale, che ha affiancato il lavoro di restauro, suggerisce di ascriverne la fattura alla scuola napoletana della seconda metà del XVII secolo. La chitarra è arricchita sui profili della tavola armonica, del foro armonico e sulla tastiera di intarsi ornamentali in madreperla riproducenti motivi a racemi, fiori e foglie.
L’esame dello strumento, propedeutico al restauro, ha rivelato varie alterazioni intervenute nel corso della sua esistenza, tra le quali la modernizzazione a sei corde rispetto alla versione originaria a cinque, come confermato dal foro nascosto al centro della paletta. I due fori delle corde Si e La sono dovuti a un rimaneggiamento successivo dello strumento, come anche la cordiera.
Nell’intervento di restauro della chitarra, di carattere conservativo, si è deciso di recuperarne il più possibile l’assetto originario, mediante il consolidamento della struttura, il rifacimento delle parti perdute, l’eliminazione delle superfetazioni spurie frutto di precedenti “restauri”. Si è pertanto proceduto alla pulitura da vernici alterate e dai depositi di polvere, al riposizionamento in asse degli elementi, all’incollaggio, alla rifoderatura interna e al rinforzo delle crepe con strisce di pergamena, al trattamento e alla chiusura dei fori causati da insetti xilofagi, all’integrazione degli intarsi danneggiati e perduti, come pure delle placchette di tartaruga nella tastiera. Sono state ricostruite anche alcune parti del bordo della cassa in osso e rifatti i piroli sul disegno originario. Si è proceduto al trattamento delle vernici per recuperare la trasparenza originale, a quello lucidante e, infine, al montaggio di corde in budello per i tre cantini e filate entro i 5 kg per i bassi.
La foggia dello strumento rimanda alla tradizione della prestigiosa liuteria napoletana a cavallo tra Settecento e Ottocento, nell’ambito della quale si segnalano varie famiglie: Vinaccia, Fabbricatore, Ventapane, nonché Filano, in particolare Donato (1740 ca – post 1783), rappresentante di una famiglia nota per la produzione di ricercati esemplari di mandolini, chitarre e liuti, all’ambito della quale potrebbe essere ascritto lo strumento.
Attivo a Napoli tra il 1760 e il 1785 ca, Donato Filano dovette cambiare almeno due diverse botteghe, come risulta dall’etichetta di un mandolino conservato nel medesimo Museo Nazionale degli Strumenti Musicali (inv. 329 del 1771) che recita: «Donatus Filano fecit anno D. 1771 / Neap.alla Rua de’ Taffettanari (Taffetanari)». I dizionari di liutai riportano inoltre una terza etichetta su un liuto del Museo di Karlsruhe: «Donatus Filano fecit / Anno Dni 1773/ Av. Rue de la Sainte Claire (Rua di Santa Chiara)».
I dizionari di liutai riportano, inoltre, un’altra etichetta, come si evince in una mandola a quattro corde del Museo dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma, «Donatus Filano fecit Neap. Anno 1770 / Alla Rua di S. Chiara»; in un liuto del Museo di Karlsruhe, «Donatus Filano fecit / Anno Dni 1773 / Av. Rue de la Sainte Claire»; in un mandolino al Museo del Conservatorio di Firenze, «Donatus Fileno fecit Neap. A. 1782 / Alla Rua di S. Chiara». A dispetto della popolarità e del carattere identitario dei suoi strumenti, chitarre e soprattutto mandolini, a tutt’oggi manca una ricostruzione storica adeguata della celebre liuteria napoletana, della conoscenza del suo patrimonio organologico, della letteratura e del repertorio musicale di riferimento, tra colto e popolare.