Il prezioso capitello in marmo si contraddistingue per l’articolata e non comune composizione del motivo decorativo. Lo stile è corinzieggiante, data la presenza di foglie d’acanto che ornano la base e gli angoli. Dalla foglia mediana sale un sottile stelo che al centro si declina in un calice e prosegue verso l’alto concludendosi in un fiore ovoidale, mentre dalle foglie angolari si genera un viticcio sviluppato in due girali terminanti in fiori campanulati e in rosette.
Nel 1880 Pietro Cappellari, vescovo di Concordia, donò al Municipio di Portogruaro alcuni manufatti di proprietà del Seminario, tra i quali è menzionata la nostra «lastra di marmo greco lavorata per la faccia di un capitello Corintio». L’opera venne poi trasferita al Museo Nazionale Concordiese, eretto a Portugruaro per custodire i reperti provenienti dalla vicina Concordia, antica città romana.
Svariati sono i motivi di preziosità del capitello. Innanzitutto, il materiale utilizzato, ovvero il famoso marmo lunienese: il nome deriva dalla città romana di Luni, al confine tra Etruria e Liguria, dal cui porto partivano navi cariche del pregiato materiale estratto dalle vicine Alpi Apuane. Il rilievo, inoltre, si caratterizza per un’elevata qualità tecnica e stilistica, per una raffinata accuratezza sia nel disegno sia nell’esecuzione. Proprio grazie alle sue indiscutibili qualità estetiche, il pezzo, rinvenuto nel suolo di Concordia, entrò a far parte della collezione del Seminario Vescovile, sfuggendo alla sorte di tanto materiale di età romana che veniva reimpiegato per erigere i nuovi edifici di Portogruaro.
Il manufatto è databile all’età giulio-claudia (fine I secolo a.C. – prima metà del I secolo d.C.), quando Iulia Concordia fu coinvolta in una sistematica operazione di riqualificazione urbanistica che comportò la realizzazione di pregevoli opere scultoree a destinazione pubblica. Date le sue caratteristiche tecniche e qualitative, si tratta di un elemento decorativo riferibile a interni di edifici pubblici, quali templi, terme, aule. Si ipotizza che l’opera sia stata realizzata da officine di Roma o, da maestranze che, se non direttamente di provenienza urbana, ne seguivano i modi.
L’intervento di restauro ha riguardato la pulitura del capitello dai depositi estranei. Le polveri, che ingrigivano le superfici, sono state asportate con pennelli e aspiratore. Le incrostazioni cementizie sono state rimosse con scalpelli, vibroincisore e bisturi. Per altri residui e per le macchie rossastre di ossidi ferrosi, la pulitura è proseguita a mezzo di bisturi e tamponcini di cotone bagnati in acqua demineralizzata; l’intensità cromatica della macchie più scure è stata ridotta impiegando compresse di sepiolite in polpa di cellulosa imbibite di acqua demineralizzata. Le incrostazioni di cemento nella parte retrostante la lastra sono state rimosse con un impacco di bicarbonato di ammonio e acque demineralizzata, spazzolini e risciacqui.
Redazione Restituzioni