Nel Tesoro di San Marco le icone erano considerate con grande riguardo, conservate sin dall’origine in una nicchia nella stanza di forma quadrangolare a forma di torre che si trova al piano terra, tra la Cappella Ducale e il Palazzo del Doge. La stanza ha un’unica finestra ed era considerata la più sicura per garantire gli oggetti dai furti. Tanta cura nel proteggere queste icone era giustificata sia dal loro valore intrinseco (tutte erano ornate da una camicia d’oro) ma soprattutto dal fatto che queste icone costituivano l’oggetto del pegno lasciato da re, principi, papi e dagli altri illustri debitori dello Stato Veneziano a garanzia dei crediti ottenuti. Se nell’inventario del 1325 compaiono soltanto 11 icone, il loro numero, proprio per questa speciale funzione, era destinato ad aumentare considerevolmente nei secoli successivi. Prima degli studi sistematici degli inizi dell’Ottocento è tuttavia impossibile riconoscere dagli inventari che aspetto avessero le icone del Tesoro di San Marco, mancando descrizioni anche solo sommarie. Non possiamo pertanto sapere quando questa camicia di icona della Madonna Chalkoprateia ne sia entrata a far parte. A complicare ulteriormente le cose, intorno alla metà dell’Ottocento, Lorenzo e Pietro Favro, orafi veneziani, hanno “restaurato” molti di questi oggetti, intervenendo con arbitrarie sostituzioni di parti e fantasiose interpolazioni.
Solo dai confronti è quindi possibile proporre una datazione di questa camicia o riza. Le lettere greche incisie, lo stile geometrico degli smalti azzurri, blu e rossi, le vistose irregolarità rimandano a una bottega bizantina e al periodo a cavallo tra il XIII e il XIV secolo.
La tavoletta rivestita di stoffa non è contemporanea alla camicia e serve soltanto di appoggio. Dal profilo della figura che si ricava si può agevolmente ricondurre l’icona che la riza doveva rivestire al tipo della Madonna Chalkoprateia, dal nome della piazza di Costantinopoli su cui sorgeva la piccola omonima chiesa dove era venerata la prima icona raffigurante la Madre di Dio rivolta verso sinistra, col busto leggermente piegato, la mano destra in avanti e la sinistra alzata. In questa chiesa si trovava anche la Santa Cassa contenente la Santa Cintura di Maria, e per questo motivo l’icona è detta anche Hagiosoritissa (Madonna della Santa Cassa).
Nel corso del restauro si sono fissati i singoli frammenti della sottile lamina d’argento, ricomponendone la sagoma, e si è riposizionata la riza sopra la semplicissima tavoletta di supporto, opportunamente revisionata e disinfestata con soluzione a base di permetrina, che quasi con certezza fu sostituita all’icona originale ritenuta irrecuperabile durante il restauro ottocentesco.
Redazione Restituzioni