Il piede del calice è esagonale, con bordi concavi ai cui vertici si inseriscono palmette entro terminazioni lobate, una conformazione che evita l’usura delle tovaglie d’altare causata dalle punte. Le sei facce trapezoidali della base ospitano al loro interno una ricca decorazione, formata dalla ripetizione dei cristogrammi IHC e XPC. Altre scritte compaiono sulla cornice del piede, appartenenti ad epoche diverse, le quali fanno riferimento all’origine del manufatto e alle tumultuose vicende della sua storia conservativa.
Un elemento a colonnine raccorda il piede al fusto. Quest’ultimo, pure esagonale, è scandito da un doppio ordine di colonne tortili che inquadrano un giro di “specchi” decorati a smalto di colore turchino. Il nodo è molto sporgente ed è ornato da sei fiori entro castoni a rombo e da dodici granate colore rosso vivo.
Sulla coppa, lungo il bordo superiore, è incisa un’iscrizione tratta dal Salmo 115, la quale richiama l’invocazione del sacerdote durante il sacrificio della messa.
Il vaso eucaristico è opera di manifattura inglese, stilisticamente databile tra il 1500 e il 1510. Questo inquadramento geografico e cronologico è avvalorato da numerosi aspetti della fattura, che accomunano il nostro calice ad esemplari di oreficeria coeva d’ambito anglosassone: sono elementi peculiari di tale contesto la citazione dai Salmi sulla coppa e il monogramma IHC e XCP sul piede, la struttura del nodo e quella del raccordo tra la base e il fusto, la conformazione lobata degli appoggi terminali del piede. Un elemento di novità del pezzo vaticano è dato invece dalla presenza delle granate nel nodo, che non trova riscontro nel panorama artistico contemporaneo: a partire dal XIV secolo, infatti, l’uso di pietre per le suppellettili andò gradualmente perdendosi; tuttavia in Inghilterra la produzione di calici con questa caratteristica ornamentale continuò fino al Cinquecento inoltrato, anche se molti esemplari in epoche successive vennero distrutti o rifusi per la preziosità dei loro materiali.
Le informazioni desumibili dalle scritte incise sul piede permettono di individuare alcuni passaggi della storia del calice. L’iscrizione dedicatoria, primo cinquecentesca, identifica il committente; si tratta di William Archer, rispettato mercante e uomo politico di Kilkenny (Irlanda), il quale fu membro del consiglio della città ne1499, nel 1501 e nel 1515: fu in questi anni, corrispondenti alla datazione stilistica del calice, che egli probabilmente commissionò l’oggetto, per la salvezza della propria anima e di quella della moglie Caterina. Successivamente, il manufatto dovette entrare a far parte delle dotazioni liturgiche della chiesa locale. Una seconda scritta, datata 1761, allude al fortunoso recupero del calice all’indomani di un incendio; autore del salvataggio fu Richard Pococke (1704-1765), colto viaggiatore britannico e vescovo della diocesi irlandese di Ossory. Infine la terza iscrizione, ottocentesca, menziona un “ex dono”e si riferisce probabilmente al pervenimento del vaso nelle raccolte vaticane.
La coppa e il fusto presentavano una patina compromessa da una precedente pulitura invasiva, che aveva lasciato nella parti incise macchie di sporco difficile da rimuovere. Sul nodo, vi erano macchie di ossidazione. Il calice è stato diviso nei suoi componenti e sottoposto a pulitura. Gli elementi sono stati sgrassati e immersi in bagni di acqua e tensioattivo; le macchie residue sono state eliminate meccanicamente mediante bicarbonato di sodio e solventi chetonici. Per armonizzare la cromìa, le superfici esterne sono state pulite a tampone. Gli smalti del fusto, che presentavano cadute di colore a causa di gravi fratture, sono stati trattati con solventi chetonici e consolidati con vernice nitrocellulosa.
Redazione Restituzioni