Il calice ha una base a sei lobi alternati a punte, con un perimetro che ricorda una stella. Lo zoccolo o gradino è decorato a losanghe (con disegni romboidali). Il nodo centrale, a forma di baccello, è sbalzato a fogliami e dotato di sei castoni dal profilo sporgente. I sei castoni sono arricchiti da medaglioni in argento niellato (cfr. più sotto) con le invocazioni AVE e IHS (Iesus). Al di sopra e al di sotto del nodo, una decorazione cruciforme realizzata a incisione percorre la superficie. La coppa è raccordata al fusto grazie ad una lamina in rame cesellata, che finge una corona di foglie stilizzate.
Non è facile stabilire l’esatta provenienza di manufatti di questo tipo, soprattutto in assenza di prove documentali. Una prima analisi formale consente di accostare il calice a esemplari umbri della metà del Quattrocento (cfr. anche scheda 32, Restituzioni 2008); mentre un più approfondito esame stilistico, basato sull’impostazione generale del disegno e sul dettaglio lineare dei profili, permette di avvicinarlo ad un altro esemplare in argento e rame che proviene con certezza, secondo le ultime ricerche archivistiche, da Spoleto. Le incisioni realizzate al niello (ricoperte cioè con una lega metallica di colore nero) orientano in effetti verso ambienti artigianali umbri, sostenuti dalla continuità del mecenatismo ecclesiastico. Da un punto di vista cronologico invece, la semplicità degli ornati e l’utilizzo del rame nella lavorazione delle parti nobili propendono a fare di questo calice una rara testimonianza dell’oreficeria minore del primo Quattrocento, con una datazione compresa tra il quarto e il quinto decennio del secolo.
Il calice entrò a far parte delle collezioni della Biblioteca Vaticana solo nel 1938, quando fu acquistato per la cospicua somma di 300 lire.
Il calice versava in mediocri condizioni conservative, con forti disomogeneità nella doratura. L’uso intensivo aveva inoltre provocato macchie, deformazioni e ammaccature delle superfici. Fratture e altre lacune del fusto erano state riparate con perni e stagno oppure con saldature in piombo: questi interventi rendevano molto problematico lo smontaggio delle singole parti. Dopo uno studio preliminare accompagnato dalla relativa analisi fotografica, sono state rimosse le fuoriuscite di stagno e piombo che ostruivano gli interstizi tra i rocchetti, e riequilibrate le deformazioni esistenti con l’uso di bisturi in legno (previo riscaldamento ai raggi IR). Ad uno sgrassaggio accompagnato da un bagno in sali di Rochelle è seguita un’immersione in acqua e tensio-attivo per la rimozione dello sporco superficiale. La pulitura meccanica del calice è stata eseguita con bicarbonato di sodio e acqua, e rifinita da impacchi chetonici per la rimozione dei sali. Tutta la superficie è stata protetta con vernice nitrocellulosa per rallentare i processi di alterazione del metallo e inibirne la naturale ossidazione.
Redazione Restituzioni