Il calice da messa presenta un piede a sei lobi decorato da tralci di foglie applicate e da castoni con gemme in vetro rosso scuro. Il fusto ha un nodo esagonale costituito da una complessa struttura architettonica con bifore, colonnine tortili, baldacchini e pinnacoli. La sottocoppa è rivestita da fitti tralci a forma di rosetta, mentre il bordo è rifinito da una fascetta con motivi decorativi a giglio. La coppa è liscia e leggermente espansa.
Il manufatto, proveniente dalla chiesa veneziana di San Moisè, è ora conservato nel Tesoro di San Marco. Sembra far parte di un gruppo di calici tardogotici da collocare in ambito di regioni dell’Europa sudorientale, contraddistinti da una decorazione stereotipata che continua fino al Cinquecento.
Descrizioni del calice si trovano in alcune fonti settecentesche e ottocentesche. L’abate di San Moisè Niccolò Coleti, in un’opera del 1758, ne evidenzia l’inusuale grandezza e l’intricato rivestimento decorativo. Antonio Pasini, canonico della Marciana, nei suoi volumi sul Tesoro di San Marco (1885-1886), precisa come il calice abbia dimensioni più grandi dell’ordinario, ne loda il «bellissimo» nodo esagonale e lo colloca nell’ultimo periodo dello stile «archiacuto», ovvero gotico. In un libro del 1888 il francese Emile Molinier inquadra l’oggetto nella tradizione dell’arte veneziana del XV secolo; lo considera di stile interamente gotico e pone in evidenza la composizione ricca e tormentata e il nodo architettonico.
La superficie del calice appariva oscurata. Il manufatto è stato smontato e sottoposto a sgrassaggio con tamponi di cotone imbevuti di trielina e acetone, per eliminare le sostanze grasse e cerose; le superfici sono state poi pulite a tampone. I solfuri d’argento sono stati asportati impiegando alcol, bicarbonato di sodio e carbonato di calcio in polvere finissima. Dopo i lavaggi con acqua deionizzata, le superfici sono state disidratate e infine protette con resina nitrocellulosica.
Redazione Restituzioni