Il prezioso busto-reliquiario, in argento dorato, ospita le reliquie del capo di san Gennaro. Il volto del santo è tratteggiato in modo energico, caratterizzato da profonde rughe; la calotta liscia del cranio è circondata da una corona di capelli ricci. Indossa una sopravveste liturgica (casula) molto decorata, guarnita da innumerevoli smalti e pietre, a simulare un tessuto prezioso. Gli smalti sono di forma circolare (rettangolare sulle “spalline”), opachi, di colore blu e rosso, decorati con gigli e figure di draghi d’oro, su argento champlevé (tecnica per cui lo smalto viene applicato in appositi alveoli scavati sulla superficie metallica). Sul petto, il fondo è inciso con un raffinato motivo a foglie di vite. L’alto colletto è invece in metallo liscio, su cui sono applicati otto compassi a sei lobi, adorni di gemme e affiancati da rosette. Le tondeggianti pietre preziose e semipreziose che costellano la casula (rubini, granati, zaffiri, acquemarine, ametiste, avventurine, coralli rosa, corniole, lapislazzuli, madreperle, quarzi, smeraldi, topazi, turchesi, e altre), con la varietà dei loro colori, sortiscono un effetto di vivace policromia.
L’alta e ricca base argentea che sostiene il busto presenta, sui lati lunghi, due lastre con episodi della vita di san Gennaro (la Decollazione nella solfatara e il Miracolo del santo che ammansisce le belve nell’anfiteatro di Pozzuoli), e, sui lati brevi, due lastre con ghirlande, puttini e cartocci, sulle quali sono fissate due maniglie.
Nel 1304 il re di Napoli Carlo II d’Angiò commissionò la realizzazione di un reliquiario che conservasse i resti del capo di san Gennaro, decapitato a Pozzuoli nell’anno 305. L’opera fu portata a termine nel 1305, anno in cui ricorreva il millenario del martirio del patrono di Napoli, ed è oggi conservata nella Cappella del Tesoro di San Gennaro. L’impresa fu affidata a un’équipe di “aurifrabi regi”, quattro orafi di nazionalità francese, attivi alla corte di Carlo II tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento: il maestro Etienne (forse il maggiore responsabile del progetto e della lavorazione a sbalzo), Godefroy, Milet d’Auxerre e Guillaume de Verdelay. Dall’atelier di corte uscì uno dei capolavori dell’arte gotica europea d’inizio Trecento che, nella sua natura assieme di prodotto di oreficeria e di scultura, stenta a trovare paragoni o precedenti significativi non solo tra le opere d’arte della Napoli angioina, ma anche nel più vasto panorama dell’oreficeria francese e parigina, che dovette certamente rappresentare il contesto di formazione di questi orafi. La forza sta nella sintesi di astrazione linearistica e di energico realismo, di fasto supremo e di sapiente contrasto tra la preziosa lucidità del metallo e il colore degli smalti e delle gemme incastonati.
Negli anni 1607-1609 il busto-reliquiario fu dotato di una base, di cui è ignoto l’autore. Si tratta di un notevole prodotto dell’oreficeria napoletana d’inizio Seicento, segnato da una cultura tardo-manierista ma già orientata verso il classicismo “devoto” tipico dell’arte riformata.
Preliminarmente il busto è stato sottoposto a indagini di fluorescenza X, per acclarare la natura dell’argento di cui l’opera è costituita.
Le superfici del busto e della base sono state sottoposte a pulitura, ricorrendo a tamponi, impacchi, bastoncelli, pennellini e utilizzando complessanti (Tiourea, EDTA, resine a scambio ionico). Sono state risciacquate con vapore, rilucidate e trattate con vernice protettiva finale. Gli smalti sono stati liberati da vernici applicate in passato, con l’utilizzo di specilli e spazzolini, e consolidati con resina crilica; le integrazioni sono state eseguite con gesso alabastrino levigato e opportunamente colorato. Due pietre mancanti sono state integrate con corniole e due castoni sono stati rifatti. Le rondelle in ottone che fissavano i castoni sono state sostituite con altre in ottone.
Redazione Restituzioni