L’opera è uno dei pezzi più famosi della galleria della scultura delle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, a causa dell’eccezionale qualità nel trattamento del volto, ma anche del mistero che avvolge il nome del suo realizzatore e l’origine del suo soprannome. Come sempre il restauro è stato un’occasione di osservazione ravvicinata e studio del pezzo, che ha portato a interessanti riflessioni legate alle varie fasi della sua storia. Sono infatti state individuate due importanti patinature, una databile all’allestimento BBPR degli anni cinquanta, che è condivisa da molti altri pezzi in museo, e una riconducibile a un rilevante intervento di restauro documentato nel 1893 da parte dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, a seguito di una rottura accidentale ricordata dalle fonti. Sotto questa patinatura ottocentesca, che mirava a nascondere le giunzioni tra i molti pezzi fratturati, si è trovata traccia di una coloritura più antica disomogenea, di tonalità rossastra, concentrata nella zona della fronte e delle guance, che giustifica il soprannome di “Mora” dato da oltre cent’anni alla scultura, che potrebbe anche essere frutto dell’alterazione di una finitura antica.
Quanto allo stile, l’osservazione ravvicinata e prolungata ha consentito di individuare tracce evidenti di una rilavorazione del pezzo, possibile frutto della mano di due artisti diversi, il secondo forse intervenuto a completare o a dare una nuova destinazione all’opera del primo, o di due momenti diversi nella realizzazione, fatto questo che ha finora ostacolato ogni tentativo di attribuzione