Il bronzetto rappresenta una coppia a tutto tondo, con il personaggio femminile a destra di quello maschile. I due personaggi sono raffigurati nudi, secondo un’iconografia molto particolare, nell’atto di abbracciarsi: l’uomo cinge infatti con il braccio destro le spalle della figura femminile, lasciando ricadere la mano sul seno destro di lei, mentre quest’ultima lo ricambia abbracciandolo con la sinistra e posandogli la mano sulla testa, in un atteggiamento protettivo. Entrambi incrociano le braccia esterne sulla parte anteriore del corpo, convergendo le mani, di notevoli dimensioni, sull’addome dell’altro, in prossimità del sesso e in modo da formare su ciascuno dei due lati del gruppo un piccolo anello passante.
Il bronzetto è stato rinvenuto a Este, durante gli scavi condotti tra il 1932 e 1934 da Adolfo Callegari, allora direttore del Museo Nazionale Atestino. Più precisamente, l’opera è stata trovata al di sopra del pavimento più recente (V secolo a.C.) di una casa dove era attivo un laboratorio per la produzione della ceramica.
L’iconografia è unica nell’area atestina e va riferita alla produzione dell’Italia meridionale e della Sicilia di VIII – inizio VII a.C. secolo a.C. Come l’opera sia giunta a Este rimane quindi un mistero: il restauro, tuttavia, ha evidenziato come il manufatto, nato come un fermaglio, sia stato trasformato in pendaglio, con l’aggiunta di un appiccagnolo superiore per acquisire la funzione “protettiva” di amuleto. E’ possibile che l’opera sia arrivata come oggetto di importazione antica, in un momento collocabile tra VIII e VII secolo a.C., tramite la Bologna villanoviana. Altra ipotesi è che possa trattarsi di un oggetto prezioso utilizzato in un primo tempo come ornamento nel suo ambito originario, dapprima come fermaglio, quindi come pendaglio, e in un secondo momento, ormai prossimo alla romanizzazione, introdotto a Este.
Il bronzetto si presentava completamente ricoperto da prodotti di corrosione del rame che inglobavano microframmenti calcarei e granuli sabbiosi. Tale deposito si era formato in seguito a immersione in acqua, con alternanza di cicli di asciutto e di bagnato: il sito del rinvenimento si trova infatti nel settore occidentale dell’antica Ateste, ai margini tra l’abitato e l’area cultuale dedicata a una divinità gemellare, in prossimità dell’antico corso dell’Adige.
L’intervento di restauro, preceduto dagli esami radiografici, si è concentrato sull’asportazione del deposito di corrosione e sulla pulitura del reperto con bisturi. E’ seguito infine un’ulteriore esame radiografico, che ha consentito di individuare la trasformazione del reperto grazie all’applicazione dell’appicagnolo, consentendo di teorizzarne il cambiamento di funzione nel corso dei secoli.
Redazione Restituzioni