La borsa, di forma quadrangolare, era destinata a custodire la tovaglietta (corporale) su cui si appoggiano, sull’altare, il calice, la patena e l’ostia.
La parte anteriore è in velluto di seta cremisi e presenta un ricamo policromo, realizzato con filati di seta e filati metallici. La figura di Cristo occupa l’intero campo; egli solleva il braccio destro per raccogliere nel calice, sovrastato dall’ostia, il sangue che sgorga dal costato, mentre con il braccio sinistro circonda la croce, sulla quale sono evidenti i chiodi, le sferze e la corona di spine. Ai lati di Cristo compaiono dei cespugli fioriti. Paillettes dorate sono applicate sullo sfondo e sulla passamaneria. Lungo il perimetro esterno della borsa corre un bordo decorativo in filato metallico, mentre la parte posteriore è foderata in satin rosso.
L’importante borsa corporale è l’unico pezzo superstite attualmente noto di un paramento che doveva essere fuori dal comune. Il soggetto rappresentato è coerente alla funzione svolta dalla borsa; si tratta dell’iconografia di Cristo portacroce con i segni della Passione, che si sovrappone a quella del Sangue del Redentore, sottolineando la presenza del corpo di Cristo nell’ostia e nel calice.
È probabile che il manufatto appartenesse a una chiesa della Diocesi bergamasca, forse una confraternita del Corpo di Cristo (come suggerisce l’iconografia del ricamo), o una chiesa di rito ambrosiano (a cui rinvia il colore rosso, utilizzato dalla liturgia ambrosiana per le celebrazioni legate al Santissimo Sacramento).
I caratteri stilistici del ricamo – quali il decorativismo, l’attenzione al dettaglio naturalistico, il linearismo, il calligrafismo – indirizzano verso la Lombardia delle ultime generazioni internazionali, nella prima metà del Quattrocento (anni Trenta circa). Questi tratti, nonché lo stesso modello figurativo con l’immagine di santi a piena pagina contro un fondo ornato da decorazioni minute, trovano confronto in particolare nelle opere di prestigiosi miniatori attivi in Lombardia tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. Questo stesso schema, con la figura in rilievo, si ritrova in altri manufatti dell’epoca, come in alcune paci (tavolette decorate con scene sacre, utilizzate per il bacio della pace), in coperte di evangelari o in altri oggetti privati, ai quali si può collegare l’insolita plasticità del ricamo. La maggiore peculiarità della figurazione è proprio l’imbottitura, che le conferisce tridimensionalità e si cura di segnare i diversi piani dell’immagine. Il rilievo molto risentito della figurazione non è comune nelle testimonianze della pittura ad ago quattrocentesca italiana, mentre trova riscontro in lavori provenienti dalle botteghe nordiche. Un’altra caratteristica è la ricerca di effetti pittorici, ottenuti sfruttando le direzioni dei filati per riflettere variamente la luce e per una più efficace resa naturalistica; anche sotto questo aspetto, i confronti più stringenti di ricami di questo tipo restano in ambito gotico internazionale.
Tra i filati del ricamo si era profondamente insinuato un deposito di aspetto polverulento e consistenza grassa. Si è proceduto all’aspirazione del deposito superficiale con microaugelli e aspiratore. I depositi di cera sono stati rimossi impiegando tamponcini imbevuti di acetone. Si è proceduto con il riposizionamento a cucito dei filati metallici sollevati, condotto con filato in seta due capi.
Redazione Restituzioni