La prima menzione della presenza del cartone in Ambrosiana si ricava dall’atto di donazione del 1618 da parte di Federico Borromeo come “una battaglia di Giulio Romano”, identificata successivamente da Pietro Paolo Bosca, nel 1672, in rapporto con l’affresco della Sala di Costantino. Dopo la scomparsa di Raffaello nel 1520, Leone X aveva assegnato ai due allievi Giovan Francesco Penni e Giulio Romano la prosecuzione della realizzazione dell’affresco, che sarebbe stato ultimato alla morte del pontefice, nel 1521. Per quella composizione sono stati individuati tre disegni preparatori, già dibattuti fra Giulio Romano e Raffaello, ma in particolare il modello conservato al Louvre la cui paternità, anche in questo caso, oscilla da parte della critica tra Raffaello e Giovan Francesco Penni, al quale era stato sempre attribuito in precedenza e che avrebbe ricomposto la scena attraverso i suoi studi preparatori, ribadito ancora da Joannides nel 1983. L’attribuzione a Raffaello si deve a Oberhuber ed è sottolineata da Oberhuber e Gnann (1999) e in particolare da Sylvia Ferino-Pagden (1989, 2016, 2017, 2019). L’ipotesi dell’esecuzione della copia da parte di Giovan Francesco Penni da modelli e studi di Raffaello, ben argomentata da Shearman (1984), è tuttora riproposta da Henry e Joannides (2012) e Williams (2017) e viene accolta in questa sede grazie alla sua rilettura attraverso il generoso invio di immagini da parte di Dominique Cordellier, che ne ha condiviso la conferma attributiva: rilevando fra l’altro lo scarto esistente fra il tratto disegnativo del registro superiore di invenzione dello stesso Penni e quello, sempre suo, di ripresa dai modelli raffaelleschi.
Il frammento del cartone, di cui il restauro ha consentito un’inedita lettura di tutti i valori disegnativi e chiaroscurali, venne impiegato per affrescare il gruppo di soldati che, nella composizione, sono distribuiti a destra della figura di Costantino fino alla corrispondenza del Ponte Milvio. Molto chiaramente il cartone venne realizzato secondo un puntuale riscontro, registrato da chi scrive (2019), proprio con il modello raffaellesco del Louvre della Battaglia di Costantino reinterpretato tuttavia radicalmente da Giulio Romano dotando le figure di un’inedita naturalistica robustezza delle fisionomie ed estrema tensione compositiva ed espressiva, non senza significative variazioni. È il caso innanzitutto del protagonista, la figura del cavaliere a sinistra che, rivolto a Costantino, gli indica in basso a destra Massenzio sconfitto precipitato nel Tevere: rispetto al modello, è modificata la postura del braccio sinistro che, prima teso a stringere le briglie del cavallo, ora sostiene lo scudo, inoltre con la scelta della tipologia più aggressiva dell’elmo leonino. Ma soprattutto, come si vede bene nell’affresco, rispetto al modello del Louvre la figura di Costantino viene maggiormente valorizzata al centro della composizione distanziandola da quella ricordata sopra, il cui cavallo, prima semicoperto da quello di Costantino, ora emerge con più evidenze. A sinistra, alle sue spalle, lo sovrastano due figure che esibiscono a Costantino due teste mozzate di nemici sollevandole per le capigliature: come generosamente mi segnala Arnold Nesselrath (che concorda sul riferimento a Penni del modello del Louvre), si tratta in questo caso di una puntuale citazione di quel dettaglio presente nel rilievo con la battaglia nel fregio dell’Arco di Costantino a Roma, a conferma di un suo sicuro punto di riferimento per l’affresco in Vaticano. Anche qui, rispetto al modello, emerge il muso di un cavallo per via del distanziamento. Nell’affresco, la figura in secondo piano verrà mostrata invece con una folta capigliatura ricciuta. Quella seguente risulta del tutto modificata rispetto al modello del Louvre. Presentata in origine frontalmente e con il braccio destro teso per colpire con la spada, ora invece, invertendo le posture, è vista da tergo mentre si scaglia sul nemico afferrandolo per i capelli. In una serratissima sequenza, la figura successiva – molto danneggiata – è raffigurata mentre blocca un altro nemico afferrandolo per la testa nell’atto di colpirlo con un grosso pugnale: il volto di quest’ultimo, semicoperto dal braccio, e la testa del suo cavallo sono appena visibili per via dello strappo. In questo caso il riscontro con il modello è puntuale, mentre la resa del gruppo adiacente dei tre arcieri risulta meno definita e più problematica. Pur seguendo il modello, il primo di sinistra presenta un pentimento nella realizzazione del volto che viene prima studiato in posizione più avanzata; mentre i due arcieri successivi sono suggeriti con pochi tratti essenziali forati per lo spolvero. Sull’elmo del primo spunta, sulla sinistra, un singolare dettaglio simile a una mano, pure forato per lo spolvero, ma non riscontrato poi nell’affresco; del secondo sono appena visibili il braccio e il profilo della testa; il tutto verrà poi direttamente realizzato in affresco con poche pennellate sintetiche. I quattro lacerti incollati in basso (una testa? panneggi?) hanno una provenienza non verificabile. Nel suo trasferimento ad affresco sulla parete della sala, emerge con grande evidenza come l’acuta tensione compositiva ed espressiva rilevata dal disegno del cartone sia penalizzata dalla stesura appesantita delle pennellate con cui il cartone viene tradotto sul muro, dove è privilegiata piuttosto la spettacolarità, anche coloristica, dell’invenzione, oltre alla sua teatralità, tenendo conto delle dimensioni.