Il rilievo costituisce il lato di un sarcofago, forse dedicato al mito di Persefone e, come tale, presumibilmente destinato a una donna. Il marmo fu rinvenuto a Roma nel corso di scavi, entro il 1521.
Pare infatti che papa Leone X avesse offerto per il reperto archeologico ben 500 ducati, ma in seguito il pezzo, divenuto proprietà di papa Adriano VI, fu donato a Federico Gonzaga e da questi a sua madre Isabella d’Este. Il reperto giunse a quest’ultima nel 1524 e fu alloggiato sotto la finestra dello Studiolo, nella Corte Vecchia del Palazzo Ducale di Mantova, vicino a opere di Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa e Correggio. Il rilievo era già allora celebre: a esso si interessò Baldassare Castiglione e fu oggetto di studio da parte di Amico Aspertini e forse anche di Giulio Romano.
Rimasto nello Studiolo sino al 1774-1775, fu allora smurato per confluire nelle raccolte della Reale Accademia di Mantova, poi detta Virgiliana. Nel 1880 l’intera collezione di statuaria dell’Accademia passo al Comune di Mantova, che dal 1915 la deposito in Palazzo Ducale, dove il nostro rilievo torno dopo 140 anni.
Il marmo raffigura Hermes il quale, inviato da Demetra e Zeus, si presenta ad Ade per chiedere la restituzione di Persefone al mondo dei vivi. Hermes con il caduceo e sul margine sinistro della composizione; al centro, assiso sul trono, e Ade, fiancheggiato da Persefone velata; in basso e Cerbero mentre a destra e una figura muliebre che ha dato filo da torcere alla critica, ma che dovrebbe rappresentare lo Stige o altro fiume dell’oltretomba.
L’opera e di buona fattura, superiore a quella di altre raffigurazioni analoghe, come il sarcofago del Casino Rospigliosi a Roma. Il marmo mantovano è databile su basi stilistiche alla tarda età di Marco Aurelio o meglio attorno al 180-190 d.C.
L’opera era ricoperta da sottili e generalizzati depositi di sporco, da residui di patine tendenti al bruno, da alcune macchie di ruggine, concrezioni calcaree e tracce di colore relativamente recenti. La pulitura è stata effettuata mantenendo le alterazioni storicizzate ma eliminando i depositi, dapprima a secco con pennelli morbidi e aspiratore, quindi con miste e impacchi in polpa di carta di solventi a base d’ammonio; le rifiniture sono state effettuate a vapore e con matite abrasive e soluzione di carbonato d’ammonio saturo, quindi a bisturi. Il lavaggio finale è stato eseguito con impacco in polpa di carta e acqua distillata e le tonalizzazioni di alcune zone abrase e di cromia disomogenea con pigmenti stabili in polvere e cera microcristallina.
Stefano L’Occaso