A protezione della sinistra Piave, nei pressi del colle di Mel, si narra dell’esistenza di un castrum romano, poi sopravvissuto anche nell’alto Medioevo. L’ipotesi, che attende ancora di essere compiutamente verificata, potrebbe trovare un punto d’appoggio anche grazie a questo reperto. Il suo valore artistico sembra infatti indicare una stabile e qualificata frequentazione della strategica altura. Si tratta di un portalucerne composto da tre bracci in forma di lunghe e rigide foglie di palma che convergono in un anello centrale, destinato ovviamente all’alloggiamento del fusto. Ciascuno dei tre bracci poggia su una corta zampa caprina dettagliatemente descritta.
Il reperto è incompleto ma è possibile ipotizzarne una ricostruzione ideale grazie al confronto con materiale analogo rinvenuto a Pompei. Sappiamo che in età augustea si diffuse l’uso del candelabro come sostegno di una lucerna ad olio (e non di candele o torce come presso gli etruschi). La lucerna veniva appoggiata sulla superficie superiore, piatta, del coronamento del fusto (qui mancante), che assumeva la forma di un piccolo vaso. Nel III tipo della classificazione di Pernice, in cui rientra questo reperto, i tre bracci, piegati ad angolo ottuso, sono generalmente ricoperti da una foglia arricciata e non sono protetti dal piattello (utilizzato per raccogliere eventuali cadute di olio). Una foglia d’edera oppure una palmetta era poi fissata negli spazi tra i bracci (nel nostro caso esistono ancora i fori per il fissaggio). Non si trova invece nei reperti pompeiani lo zoccolo caprino, che rappresenta quindi la vera peculiarità del reperto in esame.
Le superfici sono state pulite meccanicamente con bisturi, spazzolina di fibra di vetro e micropercussore e poi rifinite con spazzoline di filo d’acciaio e di setola naturale azionate da microtrapano. Con lavaggi in acqua deionizzata sono stati eliminati i sali solubili. Le superfici sono state sgrassate ed asciugate con solventi volatili ed essiccate con circolazione forzata di aria calda. Per le corrosioni attive è stato utilizzato il benzotriazolo al 3% in alcool metilico e in alcuni casi il metodo B70. Un’applicazione di Paraloid B72 al 3% in tricloroetano è stata effettuata come intervento finale, e ad ulteriore protezione una stesura di Soter, miscela di cere naturali cristalline in solventi neutri contenente un inibitore di corrosione. Uno dei bracci della base era spezzato a metà circa della sua lunghezza. Per ricomporre il pezzo si è proceduto all’ancoraggio meccanico con due perni filettati di acciaio inossidabile, del diametro di mm 3 e di mm 2, utilizzando poi resina epossidica UHU Plus per unire i frammenti. Altre lacune sono state integrate con resina poliestere Ara metal e successivamente pigmentate ad acquerello.
Redazione Restituzioni