Lo sfondo innanzitutto: il grande drappo che attraversa l’intera scena, sormontato da un albero che dispone i suoi rami rigogliosi in eleganti volute simmetriche, non ha solo una funzione decorativa ma indica che il banchetto si svolge all’esterno, nel verde di un lussureggiante giardino. Si tratta di un’ambientazione ricorrente sia per il valore simbolico (richiama la pace e la serenità dei Campi Elisi), sia perché spesso il banchetto funebre si teneva nei pressi del sepolcro. Al centro della raffigurazione sta il triclinium, la sala da pranzo romana arredata con tre letti su cui sono sdraiati i commensali, disposti attorno alla tavola. A lato della scena si possono notare i due servi (i camilli) incaricati delle pietanze: quello di sinistra, che impugna una brocca d’acqua, sembra più ligio al proprio lavoro rispetto a quello di destra, colto in un atteggiamento mesto e assorto (con un mano si sfiora il viso all’altezza dell’orecchio). Lo stato di conservazione del rilievo non è tale da permettere di identificare le pietanze (l’ipotesi più accreditata è che si tratti di tre animali arrostiti, forse conigli), così come il numero e l’identità dei partecipanti. Secondo le consuetudini ricorrenti per il banchetto funebre romano i commensali potrebbero essere in numero di dodici: sono vestiti con tunica e mantello e appaiono cinti da corone come richiesto dal cerimoniale. Pur con qualche difficoltà si può comunque notare l’animazione della scena: un invitato impugna un oggetto, forse una coppa; il secondo appoggia la mano al bordo del letto; il terzo ha la bocca aperta in un caratteristico gesto di scongiuro; il quarto alza il corno potorio (usato per bere) in un brindisi augurale e così via. Al centro del gruppo di sinistra si può invece cogliere, grazie al dettaglio della pettinatura alla moda di Antonia, una donna, ammessa al banchetto probabilmente in quanto membro della famiglia. Una raffigurazione dunque con molti dettagli e, pur nell’incerta prospettiva, ricca di vitalità e festante.
Per quanto sia al centro di un complesso cerimoniale, che scandisce le fasi di purificazione della famiglia, il tema del banchetto funebre trova pochi riscontri nei rilievi del I secolo d.C.: i più noti sono di provenienza centroitalica (da Amiternum e daSaepinum) e di ambito popolare. L’ara, che in origine doveva essere posta su una base con gradoni, era presumibilmente dotata di un coronamento, forse piramidale. In epoca medievale fu riutilizzata come vera da pozzo. Secondo le fonti l’ara apparteneva alle collezioni di Giorgio Contarini, Procuratore di San Marco a Venezia, che fin dagli inizi del Seicento raccoglieva le sue collezioni di monumenti lapidei romani nella sua villa di campagna, la cosiddetta “Villa Contaregna”, nei pressi di Este (PD).
L’intervento di restauro ha richiesto inizialmente uno studio accurato sugli effetti prodotti dal riutilizzo del monumento come vera da pozzo: dalle scalpellature laterali all’ampliamento del foro centrale, che in origine raccoglieva i resti cremati del defunto, ai numerosi incavi praticati per i sostegni della carrucola ecc. Si è proceduto poi con la pulitura delle superfici per l’asportazione dei depositi di natura calcarea, operazione eseguita sia con interventi manuali (con martelletto, microincisore, spatole e bisturi) sia con lavaggi appositi. Con impacchi di E.D.T.A. in soluzione acquosa sono state asportate macchie di ruggine e di altra natura. Si è inoltre provveduto al consolidamento e alla stuccatura di una linea di frattura sulla faccia posteriore. Il risultato finale ha conferito al monumento una migliore leggibilità, con il recupero di importanti dettagli della scena raffigurata.
Redazione Restituzioni