Prima dell’attuale restauro il dipinto presentava diffusi sollevamenti di colore causati da una rigida parchettatura applicata al retro della tavola, che impedendo i movimenti del legno aveva prodotto un’innaturale curvatura del supporto. Risanata la tavola originale e sostituita la vecchia struttura con un moderno sistema di sostegno elastico, si è proceduto al consolidamento della superficie pittorica, alla rimozione delle stuccature e dei ritocchi alterati risalenti ai precedenti restauri e al risarcimento delle lacune. E così risultata nuovamente evidente la raffinata esecuzione dell’opera, caratterizzata dall’impiego sistematico di velature traslucide di colore che modellano e variano sottilmente la cromia delle stesure sottostanti.
Generalmente attribuita a Battista Dossi, fratello minore del più noto Dosso e suo principale collaboratore, la tavola si conferma dunque opera prodotta all’interno della bottega dei Dossi nel corso degli anni Trenta del Cinquecento, quando Battista assunse un ruolo sempre più rilevante all’interno dell’impresa famigliare condotta dal fratello. La parte superiore del dipinto e soprattutto i volti dei due santi appaiono sminuiti dai danni prodotti in passato da infiltrazioni d’acqua che hanno dilavato gli strati superficiali del colore. Ancora godibili sono invece gli effetti di trasparenza atmosferica nel minuzioso paesaggio d’ispirazione nordica che si distende al centro del dipinto, separando l’apparizione celeste dal gruppo dei devoti inginocchiati a terra. Quest’ultima e la parte meglio conservata dell’opera: qui le cappe candide dei confratelli e i veli che coprono le teste delle donne si stagliano contro il fondo oscuro della vegetazione facendo risaltare i volti dei fedeli – alcuni dei quali chiaramente individuabili come ritratti – le cui espressioni rivelano le differenti reazioni emotive davanti all’apparizione sacra.
Marcello Toffanello