Lungo la navata centrale di una chiesa si vedono sfilare in fila per due, con tanto di croci e corone di spine, i protagonisti di una fra le vicende agiografiche più conosciute e amate fra Quattro e Cinquecento: la storia dei diecimila martiri crocifissi nell’Ararat, desunta da quell’inesauribile miniera che è la Legenda aurea.
Il grande dipinto prende spunto da un fatto che la cronachistica riporta al 1511: la visione dei martiri in processione che Francesco Antonio Ottoboni, priore di Sant’Antonino di Castello a Venezia, ebbe in seguito al timore di un contagio di peste. Egli infatti è raffigurato a sinistra mentre osserva lo svolgersi della processione che dall’esterno dell’edificio – la stessa chiesa di Sant’Antonino, demolita già nell’Ottocento – si avvia verso l’abside per ottenere la benedizione di san Pietro, posto di fronte all’altare in abiti pontificali.
L’attribuzione a Carpaccio in passato non è stata unanimemente condivisa, a causa della modesta qualità dell’opera, dovuta ad alterazioni che ne avevano modificato i rapporti cromatici e spaziali, ora in larga parte recuperati.
Il restauro ha infatti permesso di confermare l’autografia di Carpaccio, autore della Pala dei diecimila martiri per l’altare Ottoboni di Sant’Antonino (eretto nel 1512), vincolandola così a un preciso ambito culturale e ideologico. La vicenda del martirio di diecimila soldati, fatti crocifiggere dall’imperatore a causa della loro conversione al Cristianesimo, era stata ripresa in termini attualizzanti come simbolo delle virtù cristiane contro gli infedeli turchi. La sua rappresentazione trovava quindi un ambiente ideale nella chiesa – sita presso l’Arsenale – di Sant’Antonino, luogo di devozione di molte famiglie veneziane impegnate nelle guerre marinare.
E’ dunque possibile che il dipinto in oggetto rappresenti una processione reale, organizzata dai membri della Scuola dei Diecimila Martiri, documentata dal 1512 all’interno dello stesso complesso.
Fra le varie proposte, l’ipotesi di datazione al 1512-13 sembra essere la più convincente. Essa infatti è confortata dall’analisi riflettografica, che ha permesso di vedere, al di sotto della superficie pittorica, la rappresentazione dell’altare Ottoboni: altare che appare già finito e completo dell’abbozzo della Pala dei Diecimila martiri.
La superficie pittorica appariva danneggiata da una generale abrasione, dovuta forse a una pulitura aggressiva: situazione aggravata da numerose e ampie ridipinture. Sono state quindi eliminate tali ridipinture, almeno le più recenti, di primo Novecento, dove la stesura pittorica originale è risultata ancora recuperabile. Sono stati invece lasciati due piccoli tasselli, a titolo documentario: uno in alto, dove è stata modificata la posizione della decorazione lineare rossa e l’altro in basso, dove è stata corretta la prospettiva del pavimento.
Nel complesso, alcuni punti hanno acquistato una migliore leggibilità, come il mobiletto intarsiato vicino al portale d’ingresso e, soprattutto la zona della cappella sotto il barco.
Grande merito del restauro è stato quello di consegnare un’immagine più apprezzabile dal punto di vista della qualità artistica e riaccendere così il dibattito critico, occasione fondamentale per nuove aperture interpretative.
Redazione Restituzioni