L’altare dedicato a C. Telegennio Antho presenta, sul lato anteriore, un complesso fregio vegetale popolato da uccelli, chiocciole e lucertole, che inquadra lo specchio epigrafico recante il nome e il cursus honorum del defunto. Sulla sommità del blocco era ricavato l’incavo per l’inserzione dell’urna con le ceneri di Telegennio, mentre su ognuno dei lati sono raffigurate due gru poste a fianco di un alberello di alloro che germiscono con il becco delle lucertole. In queste scene si dovrà riconoscere l’augurio di una rinascita a una nuova vita per il defunto; per i greci e i romani, infatti, gli uccelli palustri erano metafora di una forza generativa capace di prevalere sulla morte, allusa in questo caso dalle lucertole, animali ctonii per eccellenza, divorate dalle gru. A un ben noto simbolismo funerario rimanda anche la porta chiusa visibile sul retro, attestata sia su are che sarcofagi, da interpretarsi come immagine dell’ingresso dell’Ade, confine non più superabile fra vivi e morti.
Alla datazione dell’opera negli anni centrali del I secolo d.C., suggerita dallo stile e dalle modalità di lavorazione del marmo, rimandano anche una serie di notazioni epigrafiche e di considerazioni relative alle cariche ricoperte dal defunto. Questi, un liberto di probabile origine grecanica il cui patronus era un certo ‘Optatus’ appartenente a una non meglio nota gens ‘Telegennia’, aveva ricoperto due cariche di natura amministrativa e finanziaria: viator quaestoris ab aerario e scriba quaestorius trium decuriarum. Le incombenze di un viator erano quelle di trasmettere comunicazioni ufficiali (convocazioni del senato, eseguire sequestri, consegnare citazioni ecc.). Di rango più elevato era invece l’incarico di scriba librario del questore all’erario. Questi funzionari, organizzati in tre decurie, avevano specifici compiti legati all’amministrazione della cassa di Stato (l’aerarium appunto) e alla contabilità pubblica.
Il restauro ha consentito sia di restituire leggibilità e godibilità all’opera grazie alla rimozione degli spessi strati di deposito e al recupero di una tonalità cromatica uniforme, sia di assicurarne la sua stabilità e coerenza strutturale, minata dal parziale distacco di un elemento di integrazione post-antica corrispondente all’angolo posteriore sinistro. In occasione dell’intervento si e anche riportato in luce il pozzetto originario, nel quale era inserita l’urna funeraria, colmato in epoca moderna con malta pozzolanica e frammenti di laterizio e pietra.
Fabrizio Paolucci