Questo incantevole, brulicante dipinto è un esempio da manuale di opera della quale ‘si sa tutto’.
Firmata e datata 1499 sulla pedana ove siedono la Vergine e il Bambino, ne conosciamo grazie alle fonti antiche la provenienza e l’occasione della commissione.
Era la predella per la pala d’altare destinata da Antongaleazzo Bentivoglio, figlio di Giovanni II, signore di Bologna, all’altare maggiore della chiesa agostiniana di Santa Maria della Misericordia nella sua città natale. La commissione risale all’autunno del 1498, al ritorno da un viaggio in Terra Santa, e un’iscrizione sulla cornice ricorda che l’insieme fu compiuto in due mesi. Esso comprendeva una cimasa ove erano raffigurate l’Annunciazione e il Cristo risorto, la pala centrale con l’Adorazione del Bambino e la nostra Adorazione dei Magi. Cimasa e predellafurono realizzate da Lorenzo Costa, mentre la tavolaprincipale è lavoro di Francesco Francia.
Nel 1809 i commissari napoleonici portarono a Brera le due tavole principali, ma sette anni dopo l’Adorazione del Bambino fu restituita a Bologna ed è ora nella Pinacoteca Nazionale, mentre la predella rimase a Brera dove fu sempre esposta quale esempio della ‘scuola bolognese’ quattrocentesca.
Una storia tanto completa e, contemporaneamente, il fatto di essere parte di un insieme ormai disperso ha in qualche modo distratto da un confronto diretto con la pittura. Il restauro odierno, che ha puntato soprattutto a restituire leggibilità a una tessitura pittorica ricchissima, libera, invita invece proprio a un’osservazione prolungata.
Sul terreno del proscenio e poi sul fondo il pittore ha dipinto ambiente e figurine con pennellate poco corpose che lasciano trasparire la preparazione luminosa.
Nel passato tali effetti sono stati fraintesi e ritenuti esiti di puliture troppo drastiche (che pure ci sono state, come mostrano in particolare alcuni volti) e quindi mascherati con ridipinture poi alterate oggi rimosse. Accanto a queste parti appena accennate altre, come i gruppi principali o il piano intermedio, sono delineate con minime pennellate precise e insieme vibranti. La costruzione della tettoia che ospita la Sacra Famiglia è seguita nei più minuti dettagli di carpenteria: dai cavicchi che rendono solidali i puntoni ai giunchi che legano i rami delle palizzate; abiti e accessori sono restituiti con una fantasia e una minuzia sartoriale da fare invidia a un album di mode.
Ovunque le parti più in luce sono rese con tocchi d’oro, cosi da creare un luccichio diffuso, che sottolinea la composizione profondissima, segnata dall’allontanarsi del corso d’acqua, ma priva di un vero e proprio centro. Lo stesso seguito dei Magi, dove si riconoscono membri della famiglia Bentivoglio, si spezza in una miriade di episodi bizzarri e affascinanti: pastori, eremiti, pifferai che sbucano a dorso di cammelli, cacciatori esotici, l’enigmatica figura con i ceppi in primo piano.
Si comprende perché gli scarni commenti dedicati all’opera la pongano a una svolta della carriera di Costa, segnata dalla scoperta del mondo inquieto, mobile, elegantissimo di pittori come Filippino Lippi.
Emanuela Daffra
Foto prima, dopo restauro: Giuseppe e Luciano Malcangi