Recuperata nel novembre 1969 nelle acque di Porticello (Villa San Giovanni, Reggio Calabria), all’imboccatura settentrionale dello Stretto di Messina, la cosiddetta ‘Testa di Basilea’ fu trafugata e immessa sul mercato antiquario, giungendo infine all’Antikenmuseum di Basilea, dove però non fu mai esposta.
Un identikit realizzato dalla polizia italiana nel 1978 ha permesso il riconoscimento del reperto e nel 1993 il museo svizzero lo ha restituito allo Stato italiano. La testa è stata subito sottoposta a un restauro conservativo nei laboratori dell’Istituto Centrale del Restauro, anche per rimediare ai danni provocati sulle patine da un precedente trattamento di pulitura con agenti chimici e dalla realizzazione di un calco.
La testa apparteneva al carico di una nave oneraria affondata intorno al 400-375 a.C., che insieme a diverse mercanzie (anfore e derrate, pani di argento e lingotti di piombo), trasportava una serie di frammenti di statue in bronzo – tra cui il noto ‘Filosofo di Porticello’ – già intenzionalmente fratturati e destinati a una seconda fusione.
La testa, di dimensioni appena superiori al vero, rappresenta una figura maschile matura, barbata. In origine essa apparteneva, secondo le convenzioni artistiche dell’età classica, a una statua a figura intera, dalla quale è stata divelta a colpi di martello, come si evince dalla frattura alla radice del naso, che interessa anche gli occhi.
I corti capelli formano una massa compatta e spessa aderendo alla scatola cranica, rotondeggiante; il loro disegno è regolare nell’insieme, sciolto e libero nel particolare, con un esito naturalistico. I capelli generano un vortice sulla sommità del cranio e si dispongono con una certa libertà, verso la fronte e sulla nuca, in brevi ciocche ondulate, a virgola, a esse, a fiammella, ravviate verso destra o sinistra e a volte sovrapposte; esse sono singolarmente distinte e scandite, all’interno, da incisioni parallele (in genere da due a quattro, secondo lo spessore delle ciocche).
Terminano in alto sulla nuca; posteriormente la loro direzione si fa tendenzialmente verticale, mentre dietro le orecchie alcune hanno un andamento a falce e sono pettinate all’insù.
Una sottile benda (tainia), solcata al centro, cinge la testa dalla fronte all’occipite, stringendo i capelli; essa era forse annodata dietro l’orecchio sinistro, dove in luogo di una ciocca è presente un incasso (che interrompe anche parte della benda stessa) per l’alloggio di un elemento lavorato a parte e inserito; in tal caso, i due lembi di riporto dovevano ricadere su questo lato. Al di sotto della benda fuoriesce, sulla fronte, una fila di ciocche alquanto corpose, brevi e ricciolute sulle tempie, che preparano la transizione alla barba. Le orecchie sono piccole e regolari; le ciocche, appoggiandosi con grande naturalismo sull’elice (si osservi il motivo a onda sull’orecchio destro), le lasciano interamente scoperte.
Il volto, dall’ovale allungato mascherato dalla folta barba, ha una struttura lineare ed è caratterizzato con la massima essenzialità. L’espressione austera che da esso si sprigiona è frutto dello stile del tempo e dell’esecutore, piuttosto che indicazione di carattere o di pathos.
La fronte, non molto alta e parzialmente coperta dalle ciocche, è liscia e interessata da una depressione centrale. Risaltano le arcate orbitali, risolte con una curva ampia e vistosamente sollevata verso l’alto.
Le sopracciglia sono finemente rese con sottilissime incisioni. L’espressività del volto era certamente affidata a tali elementi, così come ai grandi occhi amigdaloidi, in origine – come di consueto nella statuaria bronzea di età classica – in altro materiale (probabilmente pasta vitrea), ad accentuare l’effetto coloristico dell’insieme. Una profonda incisione delimita, superiormente, le palpebre spesse. Le linee sopracciliari continuano direttamente nel naso, dritto e sottile, che prosegue senza pause la linea della fronte conferendo eleganza al profilo (il cosiddetto ‘profilo greco’), pur alterato dalla frattura alla radice del naso. Solo nella visione laterale, più che in quella frontale o di scorcio, si apprezza la sporgenza degli zigomi. La barba è folta e al tempo stesso compatta; è resa con maggior plasticismo rispetto ai capelli, che al confronto appaiono più piatti. Copre quasi completamente le guance, contraddistinta da un’attaccatura alta, dal netto profilo obliquo. I due profili del volto, per quanto simili, non sono identici, circostanza che conferisce un maggiore effetto realistico. In particolare, è resa con grande abilità la transizione dai capelli alla barba, attraverso la tripartizione delle ciocche nelle basette, più mosse e corpose sul profilo destro del volto. Nella visione frontale le ciocche sono ondulate: partendo direttamente dal labbro inferiore, si addensano più lunghe e fluenti sul mento. Sui lati presentano, invece, uno schema grafico più ricco e corposo: inanellate, esibiscono spesso movimentate terminazioni a uncino. Ciuffi corti e solcati sono agli angoli delle mandibole: un dettaglio naturalistico nella resa della barba, che non copre nemmeno parzialmente il collo, ma si arresta alla base della mandibola e del mento. I baffi, ben distinti dalla barba, sono resi a peli sottili: separati al centro e spioventi lateralmente, coprono gran parte del labbro superiore lasciando scoperto l’inferiore, arrotondato. Le labbra, strette e carnose, sono evidenziate un gradino; si è pensato all’eventualità di una loro lavorazione come pezzo a parte, inserito nella testa.
Stilisticamente, la testa sembra inquadrarsi nell’orizzonte cronologico del tardo stile severo, più precisamente intorno al 460-450 a.C. In tale epoca trovano facile collocazione i tratti austeri e realistici del volto. Seppure l’ambiente artistico di produzione non sia definibile con chiarezza (ma pare potersi escludere, alla luce dei documenti figurati disponibili, quello attico), confronti con le consuetudini stilistiche dell’epoca risultano convincenti: tra le opere originali conservatesi, si richiamino ad esempio (per l’impostazione stilistico-formale generale, non per affinità puntuali con barba e capelli, anzi differenziati) la statua bronzea di Capo Artemision (circa 460 a.C. o poco dopo; Atene, Museo Archeologico Nazionale, inv. 15161) o, in ambito greco-occidentale, lo Zeus sulla metopa con Era nell’Heraion di Selinunte (circa 460-450 a.C.; Palermo, Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas, inv. 3921 B). Altri confronti sono stati avanzati con copie romane di originali greci, i cui prototipi si datano tra la fine dello stile severo e il 440-430 a.C.: il cosiddetto ‘Münchner König’, l’Anacreonte dall’Acropoli, il cosiddetto ‘Capaneo’ di Villa Albani (derivato da una figura dello scudo dell’Atena Parthenos di Fidia, dedicata nel 438 a.C.). Una proposta cronologica differente e ribassista riporta al 420 a.C. circa: l’opera, che avrebbe costituito un gruppo con il cosiddetto ‘Filosofo’, sarebbe stata realizzata in Magna Grecia, dove gli influssi dello stile severo sarebbero continuati a lungo.
Nella testa barbata si sono riconosciuti una divinità, un eroe, un personaggio storico o un soggetto mitologico. La varietà delle interpretazioni è dovuta a più fattori: la genericità della rappresentazione; la mancanza del corpo, congiunta all’assenza di attributi iconografici specifici, al di là della fascia intorno alla testa; infine la temperie stilistica del pezzo, appartenente a un’epoca nella quale la moderata introduzione di elementi realistici si fa strada accanto ai tratti tipologici e idealizzanti nella rappresentazione della figura umana. Una prima possibilità è che la testa ritragga un dio, quale Zeus o Poseidone. In base alla somiglianza della nostra testa con il profilo barbato di Zeus Eleutherios (‘Liberatore’) che appare sul dritto di una serie di emissioni monetali in bronzo del IV secolo a.C., battute a Siracusa, si è riconosciuto nel bronzo reggino uno Zeus riconducible alla stessa iconografia.
Le monete bronzee avrebbero ripreso le sembianze della statua del dio eretta a Siracusa dopo la cacciata dei Dinomenidi nel 468 a.C. e l’iconografia dell’Eleutherios, colto nell’atto di scagliare la folgore, sarebbe stata utilizzata anche a Rhegion e a Messana dopo la caduta dei tiranni Anassilaidi. Nell’ipotesi di un ritratto, si è optato generalmente per un personaggio di alto rango, un re o un tiranno non identificabile; si è chiamata in causa, a confronto, la testa bronzea da Cirene attribuita ad Arcesilao IV, l’ultimo dei re Battiadi di Cirene, databile al 450-440 a.C., che presenta la tenia e una generale somiglianza (anche nel ductus di capelli e barba) con la testa reggina. In alternativa vi si potrebbe riconoscere un vincitore in un agone (atletico o lirico-musicale), incoronato con una corona di foglie, ora perduta.