Il Tabernacolo dei Linaioli è opera di solenne bellezza, che rimane impressa per la rigorosa struttura e la monumentalità delle figure, risplendenti nella luce abbagliante dello sfondo dorato.
Il tabernacolo ripercorre i brani più significativi della prima pittura rinascimentale, fondendoli con una tradizione antica e consolidata. Ad ante chiuse campeggiano le grandiose figure dei santi Marco e Pietro che, dipinti sul fondo scuro, sembrano emergere, come sculture, dal profondo di una nicchia, circondata dalla cornice marmorea preziosamente scolpita.
L’apertura degli sportelli dischiude la visione del pannello centrale con la Vergine in trono e il Bambino benedicente, all’interno di uno spazio prospettico, dal soffitto voltato, blu cosparso di stelle. Qui una tenda in broccato d’oro funge da sipario, svelando letteralmente il mistero divino. Intorno al pannello centrale sono schierati dodici angeli musicanti, dipinti su una larga fascia a fondo aureo che crea un singolare effetto di profondità, allusivo allo spazio luminoso dell’empireo. Sul lato interno delle ante si dispongono di nuovo la figura potente di san Marco, protettore dell’Arte dei Linaioli, e quella più diafana di san Giovanni Battista, patrono di Firenze.
Nei tre pannelli della predella, con la Predica di san Pietro davanti a san Marco, l’Adorazione dei Magi e il Martirio di san Marco, il senso monumentale dell’opera viene sensibilmente attenuato dalla vivace componente narrativa.
L’opera prende il nome dall’Arte dei Rigattieri, Linaioli e Sarti che ne affidò l’esecuzione a Beato Angelico nel 1433. Per questa commissione sembra sia stata determinante la conoscenza di Giuliano Lapaccini, figlio di Filippo, procuratore dell’Arte in quegli anni. Giuliano infatti, fra 1430 e 1433, vestì l’abito domenicano proprio nel convento di San Domenico di Fiesole, dove Fra Angelico risiedeva. Il tabernacolo fu completato nel 1435 e sistemato nel 1436 nella Sala grande dell’Arte, da dove venne rimosso con la soppressione delle Arti e accolto agli Uffizi nel 1777. Nel 1924 pervenne al Museo di San Marco dove fu ricongiunto alla sua incorniciatura marmorea, realizzata nel 1433 su disegno di Lorenzo Ghiberti. L’opera riassume in sé numerosi influssi stilistici, sviluppati all’interno di un enorme orizzonte culturale: dalla tradizione delle grandi icone medievali, nella solennità ieratica delle figure, alla monumentalità della grande statuaria classica e rinascimentale, filtrata dal naturalismo masaccesco e dall’eleganza lineare di Ghiberti.
Il restauro si inserisce all’interno di un moderno progetto di conservazione, pensato principalmente come un momento di studio. Si è infatti trattato di un’operazione molto complessa, a causa della natura composita dell’opera, un’architettura tridimensionale variamente articolata, che doveva rispondere a esigenze non solo estetiche ma anche funzionali.
L’intervento è stato preceduto da indagini diagnostiche non invasive che hanno evidenziato la grande abilità tecnica dell’artista. I problemi conservativi emersi riguardavano sia il supporto sia le alterazioni superficiali della pellicola pittorica. Erano infatti presenti fratture, nella parte centrale, determinate dalla forza delle variazioni dimensionali dei due tavolati contrapposti, bloccati dalla cornice: si è dunque intervenuto per ricollegare le parti, utilizzando un materiale sufficientemente elastico, capace di seguire i movimenti del tavolato.
Lo stato di conservazione dello strato pittorico, con alterazioni diverse nei vari colori, ha guidato la pulitura nel recupero dei volumi e della cromia attraverso l’assottigliamento della stratificazione dei materiali aggiunti nei secoli sulla superficie, secondo una pulitura eseguita come atto critico e differenziata da zona a zona. La successiva reintegrazione delle lacune e in parte delle abrasioni ha infine consentito un pieno recupero della fruibilità estetica dell’opera.
Redazione Restituzioni