Le sei tavolette rimangono impresse nella mente per il rigore della composizione e per la ricercata scelta cromatica, dalle morbide tonalità che risaltano sul fondo dorato. Seguendo l’ordine di narrazione, vanno ricordate: la Cattura di Cristo; Pilato si lava le mani; Cristo sale sulla croce; la Crocifissione; la Deposizione dalla croce; il Giudizio universale.
Alcune delle scene, come la Cattura o il Giudizio di Pilato, appaiono piuttosto affollate e connotate da una resa narrativa drammatica, estremamente concitata, espressa però con sapiente studio compositivo, segno della perizia tecnica dell’artista. A tale ricercatezza corrisponde anche un’attenta rappresentazione di alcuni dettagli naturalistici come lo splendido abito alla moda indossato dalla figura maschile che versa la brocca d’acqua sulle mani di Pilato. Altrettanto acuta è la descrizione dei moti d’animo resa attraverso un intenso gioco di sguardi fra i vari personaggi durante i tragici momenti della Passione, conferendo alle piccole tavole una singolare profondità psicologica.
Le tavolette pervennero alle Gallerie dell’Accademia di Venezia nel 1816 dalla collezione di Girolamo Molin. Si tratta di frammenti di un complesso più ampio, al quale appartenevano anche una Deposizione nel sepolcro di collezione privata e cinque scene oggi alla Gemäldegalerie di Berlino.
Assegnate genericamente ad artista italiano o veneto del secolo XIV nei primi cataloghi del museo, le tavolette furono poi ricondotte alla Scuola di Rimini e attribuite a Baronzio da Berenson (1932). I dipinti corrispondono al periodo più arcaico della produzione di Baronzio, situabile intorno alla metà del terzo decennio del Trecento, un momento in cui forti appaiono i riferimenti giotteschi, legati agli esempi lasciati dal maestro toscano a Rimini, ma anche anche a una riflessione sugli affreschi padovani della Cappella degli Scrovegni.
L’analisi dei materiali ha permesso di stabilire quale fosse l’originaria posizione dei singoli episodi: cinque delle sei tavolette dovevano essere disposte su due registri che prevedevano originariamente tre episodi ciascuno, presumibilmente funzionali all’anta di un dittico o di un trittico. Il complesso smembrato doveva quindi corrispondere a una struttura di dimensioni medie, realizzato probabilmente per un altare.
Il restauro ha ridonato luminosità alla gamma cromatica delle Storie veneziane, evidenziando raffinate tonalità di verdi smeraldo, gialli aranciati o tenui rosa pastello. Le tavolette presentavano, infatti, una vernice fortemente alterata stesa su uno strato di deposito superficiale inorganico non rimosso dai precedenti restauri.
Non sussistevano, fortunatamente, problemi di decoesione, ma alcune grossolane ridipinture appesantivano l’originaria stesura pittorica. Uno dei risultati più interessanti ottenuti dalla pulitura è stata la recuperata leggibilità della figura posta alla spalle di Cristo nell’episodio Pilato si lava le mani. Rimosso il colore sordo e compatto che la oscurava sono emersi alcuni particolari curiosi come i rattoppi colorati della veste e uno squarcio che fa intravedere la pelle nuda del dorso.
Redazione Restituzioni