Il proprietario di questo sarcofago antropoide è identificabile con un non meglio noto egiziano di nome Unmontu, che dovette ricoprire un ruolo di prestigio sociale e disporre di un discreto patrimonio economico per corredare la propria sepoltura di un simile manufatto.
Il sarcofago antropoide di Unmontu appartiene a una categoria di sarcofagi interni prodotti in area tebana e cronologicamente attribuibili alla XXV-XXVI dinastia per caratteristiche strutturali, stilistiche e testuali. Da un punto di vista strutturale li connota la presenza di un pilastrino dorsale, di un piedistallo su cui poggia la figura del defunto mummiforme e di alcune modellazioni in corrispondenza delle ginocchia e dei glutei, che movimentano rispettivamente il profilo del coperchio e della cassa.
Le dimensioni della cavità interna sono idonee a contenere di misura il corpo bendato del defunto, a volte protetto da un intero set di sarcofagi. L’apparato iconografico si declina secondo quattro tipi principali di schema decorativo per quanto riguarda l’esterno del coperchio e due tipi di composizione per quanto riguarda l’esterno della cassa. Anche gli interni possono essere decorati. Pur nelle imprescindibili varianti che connotano ogni singolo manufatto, il sarcofago di Bologna si contestualizza a pieno in questa classificazione.
Il precario stato conservativo del sarcofago di Unmontu ha indotto il Museo Civico Archeologico di Bologna a elaborarne un progetto di restauro in collaborazione con prestigiosi istituti di ricerca e professionisti di settore. Dopo lo studio tipologico del manufatto e ricerche d’archivio volte a ricostruirne la storia collezionistica, è stata avviata un’articolata campagna diagnostica per ottenere le conoscenze preliminari a un restauro ispirato al moderno criterio del minimo intervento. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; tali approcci diagnostici hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione e i successivi interventi di epoca moderna, dei quali mancava una documentazione puntuale. Il restauro ha quindi permesso di migliorare lo stato conservativo di un reperto caratterizzato da alcune fessurazioni strutturali, da numerose perdite di adesione del sistema strati preparatori-pellicola pittorica, con conseguenti micro cadute, e da diffuse abrasioni superficiali, nonché da alterazione cromatica dovuta ai pesanti depositi di particolato coerente e incoerente. Al contempo questo progetto ha rappresentato l’occasione ideale per valorizzare un sarcofago poco noto al pubblico, in quanto trasferito nei depositi del museo dagli anni Novanta del secolo scorso, e di codificare un appropriato approccio metodologico allo studio di altri quattro sarcofagi, sempre databili alla stessa epoca e di provenienza tebana, che rappresentano una delle classi di materiali più prestigiose dell’intera collezione egiziana bolognese.