La scultura, in terracotta dipinta, ritrae san Bernardino ormai vecchio in proporzioni naturali: il volto magro e affilato, le guance scavate, il collo, le orecchie, aderenti al capo, sono studiati con particolare attenzione; solo la capigliatura resa a ciocche regolari e parallele appare piuttosto rigida di modellato. L’effigie presenta un’aureola in legno ed è inserita in un’edicola pure lignea con lo stemma del doge Cristoforo Moro alla base e il trigramma “JHS” alla sommità.
San Bernardino da Siena (1380-1444) fu assai venerato a Venezia e vi soggiornò più volte. Fu nella città lagunare anche nel 1443, ospite dei confratelli di San Giobbe, e nello stesso anno fu anche a Padova. Qui conobbe Cristoforo Moro, all’epoca podestà della città il quale, come profetizzato dal santo, sarebbe divenuto doge dal 1462 al 1471. Fu il Moro, molto devoto verso Bernardino, a donare questo ritratto alla chiesa di San Giobbe, dove oggi è conservato.
A questo busto espressivo, dal modellato assai raffinato, si può riconoscere una matrice culturale toscana. Potrebbe essere stato realizzato intorno alla metà del XV secolo a Padova, dove Donatello giunse nel 1443, per un soggiorno lungo e assai fruttuoso per il colto ambiente padovano. La grande attenzione a ogni dettaglio anatomico fa pensare a un ritratto dal vero, se non al ricorso all’uso antico, reintrodotto intorno alla metà del Quattrocento in ambito toscano, di prendere l’impronta facciale. L’intento dello scultore è quello di restituire non un semplice rilievo topografico del volto bensì un’immagine sintetica dell’uomo, una testimonianza fedele e nello stesso tempo trascendentalizzata del santo.
Il busto presentava un accumulo di polvere, un pesante strato di ridipintura e vistose stuccature, spesso debordanti. Durante precedenti restauri il pezzo era stato assemblato con un composto in gesso e un perno in legno era stato posto per sostenere la testa e raccordarla alla veste. La cavità interna delle spalle era stata riempita di gesso. La base è stata smontata ed è stato eliminato il gesso. L’assemblaggio è stato eseguito sul retro usando un sottile cordolo di acciaio inox. La veste è stata unita alla base con un sottile perno di acciaio. La pulitura è stata condotta con solventi aromatici e acqua. Per il fissaggio del colore originale è stato usata resina vegetale. Alcune vecchie stuccature sono state ridotte, altre sono state abbassate e corrette. Nella zone dell’occhio è stato asportato uno spesso strato di gesso. Il restauro pittorico è stato eseguito con velature ad acquerello. Un leggero velo di vernice mastice è servito come fissatore finale.
Redazione Restituzioni