L’articolato insieme paramentale si compone di tredici elementi che, assemblati a una struttura portante, costituiscono il padiglione per l’esposizione della reliquia del Preziosissimo Sangue di Cristo nella basilica concattedrale di Sant’Andrea apostolo in Mantova.
Il ritrovamento e la venerazione della reliquia, terriccio del Calvario intriso di sangue e acqua sgorgati dal costato di Cristo in croce, portato a Mantova, secondo la tradizione, dal soldato romano Longino, dal IX secolo rappresentano il fulcro della vita religiosa della città e del territorio, segno identitario della comunità e dei governanti.
Ludovico II Gonzaga, per dare lustro alla dinastia e accogliere i pellegrini in visita affidò la ricostruzione della chiesa a Leon Battista Alberti, dando avvio a un cantiere iniziato nel 1472 e destinato a proseguire fino alla metà del XVIII secolo.
Tra il XV e il XVI secolo si diffuse l’iconografia della reliquia inserita in due reliquiari a pisside ambrosiana, che diede origine alla denominazione popolare di Sacri Vasi. Nei primi anni del Cinquecento l’orefice Niccolò da Milano ne realizzò due esemplari in oro che conterranno il Preziosissimo Sangue e la Sacra Spugna fino alla loro dispersione, avvenuta nel 1848 per opera dei soldati austriaci. La loro foggia è deducibile dai due modelli in bronzo dorato, fusi e cesellati nel 1815 dall’orefice Giovanni Bellavite, esemplati su quelli cinquecenteschi. In epoca gonzaghesca si consolidò la prassi di esporre le reliquie, custodite in una cripta sotterranea, in due circostanze: il Venerdì Santo e nella solennità dell’Ascensione del Signore. Una complessa ritualità accompagnava la liturgia di esposizione che culminava con l’intronizzazione dei Sacri Vasi in una struttura allestita nel presbiterio della basilica, prospiciente la paredana, ossia la parete provvisoria che separava la navata quattrocentesca dal cantiere del transetto.
La commissione del sontuoso padiglione fu iniziativa della duchessa Anna Isabella Gonzaga di Guastalla (1655-1703), moglie di Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers (1652-1708) (Mantova, Archivio Storico Diocesano, Sant’Andrea, b. 333, trascrizione del notaio Ottavio Parolini, 15 aprile 1707), in un clima culturale caratterizzato dal risveglio della venerazione per la reliquia e dalla ripresa dei lavori di completamento dei transetti e del presbiterio della basilica. Nell’aprile del 1686 il duca Ferdinando Carlo, recatosi a Roma, ricevuto in udienza da papa Innocenzo XI ottenne l’approvazione della Missa Inventionis Preatiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi da celebrarsi nei domini gonzagheschi il giorno 12 marzo.
Dall’inizio del XIX secolo il padiglione venne eretto sopra l’altare maggiore, realizzato nel 1804 su progetto di Paolo Pozzo. Sono ancora presenti sulla scaffa superiore della grande ara neoclassica gli alloggiamenti per l’ancoraggio della struttura portante, e la cronaca di una solenne liturgia celebrata l’11 luglio 1880 ne conferma la collocazione: “sfilò la processione, e girando per l’ampia chiesa si portò all’altar maggiore, sul quale ergevasi il gran trono, i cui ricchissimi cortinaggi furono trapunti a ricamo d’oro e d’argento di mirabile fattura, dalle principesse Gonzaga circa la metà del secolo XVII”.
Allo stato attuale delle ricerche non sono emerse indicazioni precise sull’ideazione e sulla manifattura del padiglione, che tuttavia si deve a una bottega altamente specializzata, e sono del tutto assenti in loco confronti di così alta qualità materica e tecnica; se è plausibile una realizzazione entro il 1694, si può ipotizzare, in modo puramente congetturale, che il fiammingo Frans Geffels, architetto e pittore, prefetto delle fabbriche ducali gonzaghesche dal 1663, o l’architetto Fabrizio Carini Motta, prefetto dei teatri dal 1675, abbiano ideato la scenografica struttura espositiva per i Sacri Vasi. La complessità dell’apparato e la presenza nei ricami di raffinati temi figurativi come cherubini, angeli, nuvole porta a riconoscere l’intervento di un pittore o di un progettista di apparati effimeri, come è documentato per Geffels. La parte superiore del padiglione, inoltre, ricorda il trono pontificio realizzato in stucco nel camino del salone di Belgrado a palazzo Sordi, nella scena a bassorilievo raffigurante la storica udienza papale del 1686, opera nata dalla collaborazione di Geffels con lo stuccatore Giovanni Battista Barberini d’Intelvi, e commissionata da Benedetto Sordi, presente all’incontro in qualità di tesoriere della famiglia ducale.
Sotto il profilo formale il padiglione mantovano deriva dalla fusione di due tipologie di arredi tessili tipiche del fastoso gusto barocco: il baldacchino da trono e l’altare espositorio per le reliquie.
Il capocielo è costituito da un pannello rettangolare rivestito inferiormente di raso cremisi ricamato con la colomba dello Spirito Santo e circondato da una gloria di raggi, nubi, cherubini, stelle e quattro mazzolini di fiori in oro e argento filato, a cui si connettono quattro mantovane con fitti ricami a volute, palmette, infiorescenze e nastri alternati a teste cherubiche.
Da esso pendono tre drappi: quello centrale, teso, funge da postergale con un’apertura inferiore di forma parabolica per consentire la collocazione dei reliquiari dal retro; la superficie è ricamata da mazzolini di fiori trattenuti da nastri in oro e argento, distribuiti geometricamente a scacchiera, che al centro lasciano il posto al Sacro Pellicano, ai piedi della croce, circondato da due rami di palma fermati superiormente da una corona di spine, resa prospetticamente attraverso la variazione dello spessore dei ricami. Due drappi di forma trapezoidale irregolare costituiscono le cortine laterali; presentano ricami passanti che arricchiscono ambo le superfici in una variante più leggera dei mazzolini floreali. Due cherubini realizzati a filo d’oro e d’argento su sagome di cartone imbottite coprivano originariamente gli agganci per tenere aperte le cortine.
Il basamento è costituito da un parallelepipedo di legno rivestito di raso cremisi, con due ali laterali a cui ancorare le cortine. Il ricamo forma superiormente un fregio dove cherubini si alternano a festoni di frutti, foglie e nastri e ad angeli che recano gli strumenti della Passione; una cornice a palmette lo separa dal campo centrale: due putti affrontati su nuvole, circondati da una elaborata cornice mistilinea a volute, reggono i Sacri Vasi. La restante superficie riprende il motivo decorativo del mazzolino floreale trattenuto da nastri, dove si alternano fili d’oro e d’argento.
Completano l’apparato due drappi di forma rettangolare in raso cremisi, con ricami in filo d’oro e d’argento raffiguranti i Sacri Vasi poggianti su un cherubino. Differiscono per tecnica e materiali dagli altri elementi, trattandosi di opere del XIX secolo che sostituiscono gli originali evidentemente deteriorati per l’uso.
Il restauro, oltre a recuperare la continuità del supporto e reintegrare l’immagine degli elementi figurativi attraverso velature reversibili, ha rivelato l’eccezionale valore storico-artistico dell’apparato. Rimossi i depositi di polvere e le ossidazioni, è emersa la qualità delle tecniche di posa in opera dei fili e dei materiali utilizzati; il valore plastico dei ricami a forte spessore, vera e propria traduzione nell’arte tessile di stucchi e bassorilievi, ha recuperato chiaroscuri e accenti pittorici sottolineati dalle giaciture dei filati. L’intervento conservativo è stato preceduto da un approfondito studio morfologico dei parati e degli elementi di ancoraggio, per ricostruire la struttura portante del padiglione – non più esistente – e consentire l’allestimento in sicurezza del gran trono, che può essere nuovamente utilizzato per l’esposizione della reliquia il Venerdì Santo.