Il mantello e le oreficerie furono realizzati a Parigi per l’incoronazione di Napoleone re d’Italia, celebrata nel duomo di Milano il 26 maggio 1805, dagli artisti che già avevano compiuto le insegne imperiali destinate all’analoga cerimonia del 2 dicembre 1804 a Parigi. Il committente e il responsabile delle scelte iconografiche, di forte valenza politica, fu Napoleone in persona, che aveva in Carlomagno e nel suo impero un modello di riferimento. Questi oggetti, assieme alla spada e al globo, erano simboli di potere ispirati alle regalia carolinge: in quanto tali, conferivano un carattere di sacralità all’incoronazione del futuro sovrano e la loro presenza durante la celebrazione era imprescindibile.
Le ragioni stilistiche e il significato simbolico delle insegne, dette anche Onori d’Italia, sono illustrati dal ministro delle Relazioni estere Ferdinando Marescalchi nel suo discorso del 20 febbraio 1805 tenuto a Parigi alla Consulta di Stato, dopo aver ricevuto precise indicazioni dal sovrano. Gli emblemi individuati per il nuovo regno furono il colore verde perché evocava la vegetazione che caratterizza la terra italiana, e la Corona di ferro, forgiata con il chiodo della Passione di Gesù e inserita nel diadema altomedievale (Monza, Museo e Tesoro del Duomo), scelta perché la tradizione faceva risalire ai re longobardi il suo uso nelle cerimonie di incoronazione.
La forma della corona del Regno d’Italia, un alto cerchio sormontato da otto braccia chiuse da un globo sovrastato dalla croce, invece, era esemplata su quella imperiale adottata già da Filippo II di Spagna e manifestava che Bonaparte era anche imperatore.
Per lo scettro, che doveva esibire un simbolo allusivo al sovrano o alla nazione, furono proposte la Corona di ferro, due alabarde incrociate, la testa di Giano, la sfinge di Augusto; alla fine Napoleone optò per il Leone di san Marco con l’alabarda, chiaro riferimento all’agognata riconquista di Venezia. Infine la mano di giustizia, allegoria del diritto, era ispirata a quella utilizzata da Carlomagno per affermare che Bonaparte ne era l’erede.
Il mantello dell’incoronazione, chiamato anche grand-habillement, è in velluto verde di Lione e foderato di seta ricamata col motivo delle code di ermellino. È ornato da trecento rosette in filo d’argento e da un fregio ricamato in oro e argento secondo il disegno del pittore e miniaturista Jean-Baptiste Isabey già utilizzato per il manto in velluto rosso della cerimonia parigina: quest’ultimo, purtroppo, era conservato in Notre-Dame e fu distrutto durante la Restaurazione come tutti gli altri Onori imperiali. Il grand-habillement era completato da una mantellina e da un bordo entrambi di pelliccia, ora non più esistenti. La corona del Regno d’Italia è opera di Bernard-Armand Marguerite, noto come il gioielliere di Giuseppina perché le aveva fornito tutti i monili indossati nella cerimonia parigina. La corona è in oro, ma le gemme sono in vetro e pasta vitrea: lo scintillio di quelle disposte lungo il cerchio è accentuato da lamine di rame argentato. Altro elemento decorativo sono le sferette in argento graffito che le rendono simili a delle perle, effetto che si riscontra nella corona fedelmente riprodotta nel ritratto ufficiale di Napoleone re d’Italia di Andrea Appiani. Lo scettro, la mano di giustizia e il bastone del comando in argento dorato e vetri verdi e rossi furono realizzati da Martin-Guillaume Biennais, argentiere e orafo molto apprezzato da Napoleone e dal suo entourage.
Gli Onori d’Italia rimasero nel Palazzo Reale di Milano fino al 1816; nel XIX secolo, in data imprecisata, furono portati dagli austriaci a Vienna ed esposti nel museo della Schatzkammer della Hofburg.
Le insegne ritornarono a Milano nel 1921, assieme ad altre opere d’arte, per intervento del soprintendente e direttore di Brera Ettore Modigliani, delegato dal ministero degli Esteri alla conferenza di pace di Parigi per i negoziati sulle restituzioni artistiche. Registrati nel patrimonio della Pinacoteca di Brera, gli Onori d’Italia furono esposti nel Museo del Risorgimento a partire dal 1936.