La scena si svolge al cospetto del santo vescovo Felice, all’interno di una basilica cristiana, appena suggerita dalla serie di archi impostati su colonne ioniche, a sinistra, e dalla fuga prospettica di aperture marmoree, a destra. Un soffitto a lacunari sovrasta il baldacchino che ospita la Vergine con il paffuto Bambino, che porge a santa Caterina, l’anello delle mistiche nozze. La santa, segnalata dalla presenza della ruota dentata, esprime una regalità pari al grado della sua nascita, sottolineata dalla sontuosa veste gialla e dalle perle intrecciate nei capelli raccolti, segno peraltro di purezza. A san Felice spetta invece il compito d’invitare il devoto spettatore nella scena, con lo sguardo sostenuto dall’autorità del suo mandato vescovile, alluso dal pastorale e dalla mitria, deposta però a terra, come la corona di Caterina, in segno di umiltà.
Il dipinto proviene dalla primitiva chiesa castrense di San Silvestro, consacrata parrocchiale nel 1792. Il dipinto, nel 1858, fu oggetto di un intervento censorio piuttosto penalizzante per la vicenda critica, poiché vennero ricoperte le nudità del Bambino con del bianco, poi fortunatamente rimosso. A parte alcune perplessità, la pala è ritenuta autografa di Romanino, e ricondotta, in base a puntuali confronti stilistici, ai primi anni Quaranta del Cinquecento, quando l’artista rinnova radicalmente il proprio linguaggio espressivo, sottoponendolo a un respiro classico e misurato. Si tratta di un’opera di transizione, come testimonia il persistere di stilemi caratteristici degli anni Trenta, quali la monumentalità, la fissità dell’impaginazione e la dilatazione dei corpi. A confermare tuttavia la cronologia intorno al 1540-42 è il peculiare studio luministico, in funzione simbolica, caratteristico della produzione di Romanino del quinto decennio.
Il restauro ha permesso di rivelare la brillantezza della tavolozza mediante un accurato lavoro di riordino delle campiture e di pulitura, non prima di aver indagato la natura del supporto e ricomposto filologicamente gli interventi operati sulla pala.
Si è quindi potuto ricondurre all’intervento di inizio Novecento il rifodero a colla pasta così come lo spostamento dei margini del dipinto e il conseguente ampliamento dimensionale. A un secondo restauro novecentesco sono state invece imputate le operazioni di reintelaiatura, surrogazione dell’inchiodatura, stuccatura; l’esecuzione di ritocchi e l’applicazione di una vernice cerosa.
Il restauro si è rivelato pertanto impegnativo e ha riguardato il riordino del telaio; la rimozione della tela di rifodero e dei depositi di polvere e sporco; la sostituzione della vecchia chiodatura perimetrale. Per risanare lo stato dei margini della tela di fodera, sono state inserite tra telaio e tela della fasce in puro lino. Sono state quindi rimosse le ridipinture e stuccature. L’intervento si è concluso con la stuccatura delle lacune e la reintegrazione pittorica.
Redazione Restituzioni