Lo straordinario mantello, realizzato legando penne in prevalenza di Ibis rubra su una rete a filet di cotone, secondo una tecnica documentata nei secoli XVI e XVII presso le popolazioni Tupinambá, che occupavano la fascia litoranea atlantica tra la foce del Rio delle Amazzoni e lo stato di São Paulo, è giunto in Ambrosiana grazie al lascito della collezione del famoso naturalista Manfredo Settala, che a sua volta lo aveva ricevuto in dono dal principe Federico Landi, personaggio di un certo spicco sulla scena politica tra Sei e Settecento, legato all’imperatore Filippo III di Spagna.
Presenta una forma triangolare ed è completo di cappuccio, che doveva concludersi in alto con un giro di penne gialle di Ara, oggi quasi completamente perduto; le stesse penne gialle marcavano anche l’orlo inferiore. Per la delicatezza dei materiali sono pochissimi i manufatti di questo genere giunti fino a noi e questo è l’unico che presenta un motivo geometrico sul dorso, probabilmente un uccello stilizzato, realizzato con penne azzurre e gialle di Ara.
Prima del restauro realizzato nell’ambito di Restituzioni, a causa del degrado della rete, che mostrava già almeno due interventi piuttosto antichi, e dei problemi conservativi delle penne, soggette anche a un attacco biologico, il mantello non era esposto. L’identificazione del mantello come ‘mantello cerimoniale’ tupinambá si deve allo stesso Settala, che nella didascalia al prezioso (per noi) disegno fatto da lui realizzare per illustrare la sua ricchissima ed eterogenea collezione (oggi conservato presso la Biblioteca Estense di Modena) ne ricorda la provenienza Landi e ne suggerisce un collegamento con questa popolazione di indios del Brasile per confronto con i mantelli indossati durante una cerimonia rituale ritratti sul finire del XVI secolo in un’incisione di Theodor de Bry. Lo studio delle fonti di XVI-XVII secolo relative ai Tupinambá ha consentito, proprio in occasione del progetto Restituzioni, di proporre l’ipotesi che il mantello venisse utilizzato dal protagonista del cerimoniale più importante per la vita sociale di questa popolazione, che era un rito cannibalico, volto a ottenere per i guerrieri la possibilità di accedere dopo la morte a una mitica ‘Terra senza Male’, secondo le loro credenze.