Protagonista del dipinto è la Vergine con il Bambino, comodamente assestata su un alto seggio marmoreo immerso in un paesaggio naturale. Due angioletti le fanno scendere una corona sui lunghi boccoli biondi, qualificandola Regina dei cieli. Alla base del trono, san Benedetto, con il pastorale e l’abito monastico nero, presenta alla Vergine un giovane monaco dello stesso ordine, inginocchiato e a mani giunte.
Il paesaggio è costellato di riferimenti simbolici mariani e cristologici, come ad esempio la coppia di conigli in primo piano, che allude alla sconfitta della lussuria e quindi al trionfo di purezza e castità. Ma anche la catena di montagne azzurrine che si staglia contro il cielo addensato di nuvole; la città inviolata; la roccia fortificata: un’intera gamma di riferimenti al repertorio innografico mariano.
Nello sfondo troviamo inoltre un pendant di storie: a sinistra Gerolamo penitente nel proprio eremo di rocce selvagge e a destra Benedetto che si getta nudo fra i rovi per vincere la tentazione a un ritorno alla vita secolare. A suggellare il significato simbolico del testo figurativo è la sentenza composta dal piccolo angelo seduto nel gradino del trono mariano, secondo la quale nulla è più dolce della memoria del tempo ben speso.
La storia critica del dipinto è stata caratterizzata da una complessa questione attributiva, che ha coinvolto i nomi di diversi artisti: da Moretto a Romanino, da Girolamo Dal Santo a Callisto Piazza fino a più generiche etichette quali l’anonimo “imitatore del Foppa e dei Bellini”.
Grazie a Giuseppe Fiocco (1926-27) il problema filologico è stato riaperto, con nuove motivazioni a sostegno del maestro bresciano Girolamo Dal Santo.
Tale paternità non è stata accettata unanimemente dalla critica, anche se ha trovato importanti conferme in Mauro Lucco, Mauro Natale ed Enrico M. Dal Pozzolo. Alcuni dettagli stilistici farebbero infatti pensare a un momento di importante maturazione artistica di Dal Santo, legato al suo soggiorno padovano nel secondo decennio del Cinquecento. In particolare, sono state rilevati alcuni aspetti iconografici che presuppongono il contesto culturale benedettino del monastero di Santa Giustina dove l’artista aveva operato.
Una prima fase del restauro ha riguardato la rimozione di alcune vernici fortemente ingiallite, mettendo in luce la squillante luminosità cromatica della superficie. Si è poi proceduto con l’eliminazione di alcuni pigmenti pittorici ossidati e delle ridipinture e integrazioni alterate, eseguite su una velatura a stucco in occasione di un restauro ottocentesco.
L’intervento conservativo ha dunque consentito il recupero di una corretta lettura dei valori cromatici, ma anche di un migliorata lettura iconografica, grazie all’eliminazione di alcune pesanti aggiunte (il bordo dorato nella veste della Vergine; le aureole della Vergine e del giovane monaco) e al ripristino del secondo coniglio che risultava coperto dalla velatura.
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Redazione Restituzioni