In primo piano, collocato “in abisso” nella parte inferiore del dipinto, è raffigurato un devoto inginocchiato con le mani giunte in segno di preghiera, verosimilmente il committente dell’opera. Il volto dell’uomo è ripreso di profilo, mentre il busto è leggermente ruotato. Alle sue spalle si apre un gustoso paesaggio nel quale si notano in primo piano un cervo e due conigli, mentre sul fondo si scorge un borgo abitato chiuso da colline e montagne, con nubi grigie che offuscano il cielo. Il gruppo con la Vergine Maria e il Bambino occupa tutta la metà sinistra dell’immagine, stagliandosi dinanzi a una tenda verde. Il Bambino è completamente nudo, in piedi su un piccolo davanzale, sorretto da Maria che si accosta delicatamente alla guancia per baciarlo. La Madonna si trova invece dietro il parapetto, il capo coperto da un velo bianco, vestita di un manto azzurro foderato in rosso e arancio, che si gonfia in un ritmo elegante quanto irreale. Il restauro dell’opera ha consentito il recupero di un bordo nero dipinto in origine dall’artista come una sorta di cornice che delimitava l’immagine, secondo una modalità presente in altri lavori di Cariani.
La vicenda collezionistica dell’opera, destinata in origine alla devozione privata, si ricostruisce soltanto a partire dall’Ottocento, quando è documentata prima in casa Marenzi a Bergamo, dove rimane verosimilmente sino alla metà degli anni sessanta, e quindi sempre nella città orobica, ma in casa Baglioni. Il dipinto giunge in Accademia Carrara nel 1900, alla morte di Francesco Baglioni, attraverso il legato da lui effettuato a favore del museo e con il quale lasciava le sue raccolte d’arte all’istituzione di cui era stato per oltre trent’anni un attivo commissario, rivestendo in alcuni momenti anche la carica di presidente.
L’iscrizione con il nome dell’artista e la data 1520, oltre a non lasciare dubbi sulla paternità dell’opera e sulla sua cronologia, hanno assicurato alla tela una notevole fortuna critica facendone un importante caposaldo nella ricostruzione del percorso del pittore originario di Fuipiano.
Eseguita negli anni del ritorno di Cariani a Bergamo (1517-1523), poco dopo il completamento della importante pala per la distrutta chiesa di San Gottardo ora a Brera, nella Madonna Baglioni l’artista riprende uno schema compositivo della tradizione belliniana, quello della Vergine con il Bambino e il donatore ai suoi piedi, “in abisso”. Tuttavia, una nuova sensibilità psicologica emerge dal quadro, percepibile soprattutto nel tenero accostarsi del Bambino alla madre, una sensibilità che ha le sue radici nell’esperienza giorgionesca del pittore, ma che trovava a Bergamo nuova linfa nelle ricerche di Lorenzo Lotto. Al contrario, al Cariani più tipico riconducono certe trascuratezze, certe sgrammaticature esecutive, spie di quella parlata “rozza e maleducata” che, secondo Giovanni Morelli, l’artista adottava nelle opere eseguite durante i soggiorni in patria o spedite a Bergamo da Venezia. Peculiare per il pittore bergamasco è pure l’atmosfera festosamente colorata dell’immagine, quel suo tono domestico e feriale che fa risaltare il severo profilo dell’offerente e l’elegiaco paesaggio sullo sfondo.