Su uno sfondo neutro, color bruno, emerge con gradualità la figura a mezzo busto di Cristo coronato di spine. La postura è quella sofferente del Cristo morto: le braccia intrecciate, il capo lievemente reclinato; la bocca serrata; gli occhi chiusi, privi di vita.
La ricomposizione successiva al sacrificio non è però immune dal dolore fisico: la pelle ha ormai il colore livido della morte; sulla fronte la corona di spine ha lasciato profondi graffi e fiotti di sangue sgorgano ancora dalla ferita sul costato e dal segno dei chiodi sulle mani. Una soffusa malinconia domina l’intera immagine, pensata per essere oggetto di intima riflessione per il devoto che vi si rivolgeva, cercando nella figura di Cristo il massimo esempio spirituale in cui immedesimarsi.
Il dipinto è stato variamente attribuito a Tiziano, Giorgione e Giovanni Bellini, sulla base di alcune caratteristiche stilistiche e compositive.
Lo schema belliniano dell’Imago pietatis e la struggente dolcezza di memoria giorgionesca, deponevano infatti contro la tradizionale attribuzione a Tiziano, avanzata per primo da Cavalcaselle e accettata poi da parecchi conoscitori e critici.
La debolezza dei tratti, l’imprecisione anatomica e la povertà grafica avevano comunque determinato un’ulteriore revisione critica dell’opera, ricondotta da Giovanna Nepi Scirè alla cerchia dei giorgioneschi o dei belliniani. Un’importante conferma di questa nuova lettura è venuta dal recente restauro, grazie al quale è stato possibile recuperare la firma dell’autore, ora identificato con Vittore Belliniano, della laboriosa bottega di Giovanni Bellini.
Il dipinto versava in buone condizioni conservative, grazie a una recente rifoderatura; la presentazione estetica, tuttavia, risultava penalizzata da uno spesso strato di vernice ingiallita e ossidata. Alcune mancanze di colore si localizzavano lungo i bordi; ritocchi pittorici erano visibili sulla palpebra destra, sui capelli e sulla spalla.
Il dipinto è stato quindi sottoposto a un’operazione di pulitura, volta a rimuovere lo strato di vernice alterata attraverso l’impiego di miscele solventi. La successiva reintegrazione pittorica è stata condotta con colori ad acquerello e a vernice, mediante velature in corrispondenza delle abrasioni e delle mancanze, tutte di piccola e media entità, che potevano essere quindi ricostruite nelle forme e nei toni originali.
Redazione Restituzioni