Il fregio, realizzato in terracotta invetriata, risplende nei colori predominanti del bianco e dell’azzurro, e sviluppa un tema complesso, di natura filosofica, scandito in cinque scene: la circolarità del Tempo e dei suoi cicli; l’infanzia di Giove, sottratto dalla madre Rea al padre Saturno; Marte che esce dal tempio di Giano, atteso da dieci armati per dare avvio alla guerra; le Stagioni e i Mesi nel loro ordinato procedere, e lo svolgimento dei lavori dei campi; e infine la punizione e il premio delle anime dopo la morte. Nella prima scena è possibile seguire il percorso delle anime, generate nella caverna dalla Natura, e poste subito davanti alla scelta della propria sorte, da un lato la vita iniqua (il vecchio che tiene sette serpenti), dall’altro la vita giusta (il giovane nudo con compasso e armilla, simboli di razionale controllo del cosmo). La narrazione, proseguendo con le scene, di segno opposto, di iniquità e armonia, si conclude con il giudizio delle anime. Qui Astrea, dea della Giustizia, nega l’accesso all’Empireo al carro dell’anima iniqua, concedendolo invece al carro dell’anima giusta. Con l’impennata trionfale dei cavalli si conclude quindi il viaggio allegorico dell’anima giusta attraverso la scelta tra Bene e Male, secondo un tracciato interpretativo di grande rigore concettuale.
L’opera si inserisce nel contesto della raffinata cultura dell’Umanesimo fiorentino, sviluppata nella cerchia di Lorenzo Il Magnifico, forse su un’idea di Poliziano. Il fregio, infatti, un tempo posto sopra l’architrave del portico della villa medicea di Poggio a Caiano, viene datato intorno al 1490, anche se parte della critica lo vorrebbe spostato verso il 1515. Emerge tuttavia una chiara matrice neoplatonica, che proverebbe dunque la diretta committenza laurenziana, secondo la prima ipotesi di collocazione cronologica.
Dalla prima scena, con il riferimento al mito di Er narrato nel decimo libro della Repubblica di Platone, alle scene successive, imperniate sui concetti opposti di pace e guerra, il racconto approfondisce per immagine la complessa filosofia neoplatonica, con una singolare meditazione sul tema dell’armonia, allusiva alla dimensione ideale della villa di Poggio. Complessa è anche la lettura stilistica, che vede singolari differenze fra le scene,oggetto di svariate interpretazioni critiche. Sembra possa escludersi l’ipotesi di una realizzazione dei Della Robbia, per il classicismo archeologico che connota l’opera, estraneo alla produzione della grande bottega fiorentina. Fra le varie proposte, la più convincente e condivisa presso gli studiosi, è quella che riconduce il fregio a Bertoldo di Giovanni, con l’intervento di collaboratori, e in particolare di Benedetto Buglione per l’invetriatura.
Il fregio è stato oggetto di un restauro fra 1985 e 1986, in cui venne consolidata l’invetriatura e rimontate singole porzioni di terracotta su tredici pannelli lignei, mantenuti perché ancora funzionali, con l’ultimo intervento.
Se la collocazione, dal 1992, all’interno della villa ha garantito adeguate condizioni di conservazione, la lettura del fregio è stata comunque deturpata da alcuni distacchi dello smalto dalla terracotta, rendendo disomogeneo l’aspetto generale del fregio. Si è quindi proceduto con la rimozione meccanica delle vecchie stuccature; la spolveratura e pulitura dell’invetriatura, con rimozione contestuale dei ritocchi alterati; il consolidamento dei sollevamenti di smalto; l’applicazione di nuove stuccature e la ricostruzione delle mancanze; e infine, la fase più delicata del ritocco pittorico, che ha riportato uniformità estetica al fregio, ora restituito a una più corretta lettura della volumetria e delle forme plastiche.
Redazione Restituzioni