L’insieme di formelle architettoniche rinvenute a Padova, in un pozzo in via Savonarola, possono essere divise in tre gruppi. Il primo consiste in tre frammenti, di cui due combacianti e probabilmente pertinenti a un unico esemplare di formella, che rappresenta una scena marina animata da un Tritone, una Nereide e la gorgone Medusa. Il Tritone, dall’aspetto trimorfo con busto umano, zampe anteriori equine e corpo squamoso di serpente, trattiene i capelli misti a serpi di Medusa, per colpirla con una clava. Nella terza formella appare invece una ninfa, nuda e languidamente accomodata su un corpo a squame.
La seconda serie è composta di quattro formelle con decori vegetali, distinte in due tipologie: la prima comprende una decorazione con sviluppo orizzontale di racemi, rosette e fiori, la seconda, invece, segue uno sviluppo verticale di due mazzi di frutta fasciati da un nastro svolazzante. Vi è infine un terzo gruppo, con funzione di cornice sia orizzontale sia verticale, che presenta decorazioni sviluppate entro fasce parallele contenenti in sequenza foglie d’acanto alternate a fiori su steli, sgusci, ovoli e piccole foglie.
Nel periodo rinascimentale la tipologia decorativa delle formelle in terracotta, quale ornamento delle facciate dei palazzi, non conobbe a Padova particolare fortuna, era anzi un fenomeno pressoché sconosciuto: gli esemplari emersi nello scavo di via Savonarola vanno pertanto considerati nella loro singolarità. In mancanza di confronti diretti nella città patavina, la critica ha posto le formelle in oggetto in relazione con esempi di altre città e in particolare con le decorazioni della “Casa delle terrecotte” a Roma (purtroppo demolita negli anni Trenta del Novecento), i palazzi nobiliari Stanga e Fodri di Cremona e palazzo Landi a Piacenza. Interessante si è rivelato il raffronto con gli esempi cremonesi, legati al nome di Agostino de Fondulis, figlio di Giovanni da Crema, scultore attivo a Padova prima del 1468. Suggestiva, dunque, l’ipotesi che Agostino, prima di partire per Piacenza e Milano, si sia cimentato anche a Padova in questo tipo di attività, nel tentativo di iniziare una moda che però non ebbe seguito, forse per la disponibilità di materiali lapidei di cava provenienti dai vicini colli Euganei e monti Berici.
L’intervento di restauro ha affrontato in particolare le problematiche relative alla presenza di incrostazioni, formatesi durante la giacitura nel pozzo. Il restauro è stato condotto attraverso quattro fasi operative: pulitura delle superfici, incollaggio dei frammenti combacianti, stuccatura e protezione finale. Rispettando la storia conservativa degli esemplari si è comunque deciso di mantenere le tracce di malta di calce presenti sulle superfici posteriori e sui bordi, in quanto testimonianza dell’uso primario delle formelle quali elementi di rivestimento di apparati murari.
Redazione Restituzioni