L’ovale rappresenta il momento in cui il corpo di Gesù, deposto dalla croce viene calato nel sepolcro da Giuseppe D’Arimatea, alla presenza di Giovanni e di Maria. In cristallo, è montato in una cornice d’argento dorato su un piede a balaustro dello stesso materiale. Si tratta di una “pace”, o instrumentum pacis: la tavoletta, esposta al bacio dei fedeli prima della Comunione in occasione di particolari festività, sembra aver avuto originaria affermazione in Inghilterra nel corso del XIII secolo per poi passare in Francia, in Germania, in Spagna e in Italia, dove non sembra essere stata utilizzata prima della metà del XV secolo, per poi cadere in disuso già a partire dal XVI secolo. Secondo una tradizione riportata da Volbach, questa “pace” appartenne originariamente a Carlo Borromeo, che peraltro raccomanda l’uso di tale tipo di strumento nelle chiese cattedrali. Di certo la tavoletta fu donata da don Giulio Harduin, duca di Gallese a Papa Pio IX, che poi lo trasferì alla Biblioteca Vaticana. È verosimile che la “pace”, insieme con il titolo e le proprietà che l’accompagnavano, provenisse dai possedimenti laziali della famiglia, che precedentemente erano stati della famiglia Altemps. A questa famiglia apparteneva Marco Sittico Altemps (1533-1595), che durante la sua intensa attività di legato papale fu in stretti rapporti con il Cardinale Borromeo, al quale era legato anche da parentela dopo il matrimonio del fratello Annibale con Ortensia, sorella di Borromeo (1565). È insomma sullo sfondo di tali rapporti che si potrebbe spiegare l’approdo della placchetta tra i beni di casa Altemps e successivamente nelle mani dell’Harduin.
Nel corso del Cinquecento, i maggiori centri di produzione in Italia di questi instrumenta pacis erano concentrati al Nord (particolarmente a Padova, Verona, Ferrara e Venezia) ed è probabile che anche questa placchetta sia di origine settentrionale. L’oggetto in questione ci è giunto privo di qualsiasi contrassegno di appartenenza. Da un punto di vista strettamente tecnico un ovvio polo di riferimento è costituito dall’opera del vicentino Valerio Belli, ma diverse coordinate di cultura e di stile depongono per una cronologia notevolmente più avanzata. L’adozione di un impianto classicisticamente bilanciato rappresenta l’ennesima variazione su un tema raffaellesco, mentre i singoli spunti iconografici possono ricordare soluzioni adottate dalla maniera toscana della prima metà del secolo. L’insistita rielaborazione di schemi basati sulla predominanza delle diagonali denota tuttavia una vocazione maturata sui più recenti testi dell’imagerie cinquecentesca, e l’indubbio michelangiolismo delle forme appare stemperato e come filtrato dall’influsso della pittoricità della tradizione locale. Il tono patetico della composizione incentrata sulla didascalica ostensione dei simboli della Passione, riflette inoltre il clima pietistico in cui presumibilmente maturò l’immagine. In tale contesto, sembra potersi confermare, pur con le dovute cautele, l’attribuzione dell’opera ad Annibale Fontana, protagonista insieme a Stoldo Lorenzi dell’estrema stagione del Manierismo lombardo.
Poiché non si sono riscontrati danni a carico del cristallo o dell’apparato strutturale della cornice, l’intervento preliminare è consistito nell’eliminazione di eventuali residui filmanti tramite sgrassante con un diluente nitro applicato a tampone; le cornici sono state sottoposte ad un trattamento con EDTA e bicarbonato di sodio in acqua deionizzata e alcol, alternati a risciacqui in acqua deionizzata e successiva disidratazione in alcol; i cristalli sono stati oggetto di lucidatura ordinaria. Al termine dei trattamenti sulle superfici metalliche è stato applicato un film protettivo (Zapon in diluente nitro).
Redazione Restituzioni