La Croce reliquiario vera e propria, con funzione anche di ostensorio, è arricchita da placchette in smalto traslucido, mentre nel sostegno sono smalti champlevés a figure risparmiate e dorate. Il basamento appare coerente alla Croce, benché i suoi smalti risultino più modesti e di diversa mano rispetto a quelli traslucidi. L’opera è dunque frutto della collaborazione di più maestri e rappresenta una rara e preziosa testimonianza dell’oreficeria senese dell’ultimo quarto del Trecento che si caratterizza per la devozione nei confronti di quanto realizzato nella prima metà del secolo, quando gli orafi avevano espresso tutte le loro enormi potenzialità. Gli smalti della Croce, eseguiti, anche se non dallo stesso maestro, nella medesima bottega di quelli champlevés della Croce dei Santi Pietro e Andrea a Trequanda (Siena), riconducibile agli orafi-scultori attivi nella cappella di Piazza (il Romanelli, il Pizzino, Matteo d’Ambrogio), sono stilisticamente affini a quelli del calice sottoscritto dal senese Matteo di Mino di Pagliaio, attestato come orafo nel 1369 e che nel 1380 risulta in rapporto con Nello di Giovanni e Bartolomeo di Tommè detto Pizzino, tanto da poterli considerare opera dello stesso smaltista. In entrambi i casi egli tiene in gran conto gli esiti stilistici di Lippo di Vanni, pittore che rappresenta un punto di riferimento per gli smaltisti senesi attivi intorno alla metà del Trecento e nei decenni successivi, anche se il timbro del suo linguaggio risulta un po’ stereotipato e talvolta rigido, nonostante l’apprezzabile risultato estetico finale di alcune formelle.
Restituzioni 2022. Guida alla mostra
a cura di Carlo Bertelli, Giorgio Bonsanti, Carla Di Francesco, Milano 2022 (guida cartacea)