Il reperto è costituito da un raffinato gioiello in oro zecchino e granati composto da maglie di circa un centimetro di lunghezza formate da un filo in oro. Ogni segmento di filo è connotato da una estremità chiusa ad anello e una infilata nella gemma e quindi nell’anello della maglia successiva; infine, è avvolto su se stesso. La sezione del filo d’oro è appiattita soprattutto in corrispondenza dell’anello, più tondeggiante all’altra estremità. Le sedici gemme, affini per colore, dimensione e taglio a forma di cuore, rispecchiano un gusto coloristico assai diffuso nell’oreficeria di età imperiale e qui giocato sul contrasto fra il colore intenso del granato e la lucentezza dell’oro. All’estremità di chiusura della collana un segmento di filo aureo forma un gancio che doveva trovare un occhiello per la chiusura, ora mancante.
Il monile corrisponde a una tipologia nota già nella tradizione dell’oreficeria ellenistica, in particolare tarantina, tra III e I secolo a.C., i cui modelli trovano ampia diffusione nella prima età imperiale romana (I-II secolo d.C.), cui possiamo riferire il reperto.
La collana proviene infatti da uno scavo nell’area dell’Ospedale Civile di Adria, in una zona topograficamente rilevante della città antica. La collana è emersa da un livello di accrescimento tra una fase di occupazione e l’altra, in uno strato archeologico formato in seguito alla distruzione, al prelievo e alla sistemazione delle macerie. La posizione del gioiello, sulla superficie dello strato, lascia presupporre che non si tratti di una deposizione intenzionale, bensì il frutto di una distrazione o della perdita occasionale del prezioso monile, presto sepolto e mai più riemerso nel tempo .
L’oggetto è stato rinvenuto in buono stato di conservazione, pur se lacunoso di una delle estremità, fratturata a seguito di uno strappo. Apparivano inoltre incrostazioni terrose che ricoprivano tutta la superficie, unite a leggere incrostazioni calcaree individuate a una visione più ravvicinata con lo stereo-microscopio. L’intervento di restauro è stato accompagnato da indagini che hanno confermato la qualità dei materiali: il metallo è oro a elevatissima purezza e il granato è di una particolare varietà, il piropo, di grande pregio. Il restauro è consistito nella pulitura con pennelli morbidi in setola di martora sintetica e con tamponi di acqua demineralizzata, per rimuovere i depositi terrosi incoerenti presenti sulla superficie. Le poche incrostazioni calcaree sono state asportate mediante azione meccanica, operando con un bastoncino di legno.
Redazione Restituzioni