Forte è la devozione per san Bruno sul territorio serrese e il busto reliquiario riveste un radicato carattere identitario che si esplica in particolare durante le processioni del 6 ottobre, dies natalis del santo, e del lunedì dopo la Pentecoste. Il caratteristico lancio dei confetti al passaggio del fercolo ha creato numerosi danni meccanici alle superfici delle opere, seppure sia stata poi prevista una copertura protettiva solo per il busto. Il restauro ha permesso di eliminare molte delle deformazioni presenti sia sulla vara sia sul busto e, in particolare sul volto del santo, restituendo leggibilità ad alcuni dettagli anatomici. Il ritrovato equilibrio compositivo consente di avviare nuovi raffronti per indagare sulla paternità del busto, da ascrivere a un artista aggiornato alle correnti cosmopolite confluite nella corte napoletana e che seppe trasferire vitalità e introspezione psicologica alla figura di san Bruno.
L’insieme in esame costituisce inoltre un’imprescindibile fonte documentaria per la storia dei certosini di Serra San Bruno, dal rinvenimento delle reliquie del fondatore nel 1505 alla ricostruzione della certosa post terremoto del 1783. Approvato il culto di san Bruno nel 1514, fu fatta la ricognizione delle reliquie e nel 1516 le reliquie del cranio furono traslate alla certosa di Napoli. Qui la calotta cranica fu collocata all’interno di un mezzo busto d’argento e così consegnata nello stesso anno ai padri calabresi.
Attribuito su base stilistica a Leone Leoni e a Francesco Laurana, nessuna delle due ipotesi si considera valida in riferimento alla cronologia del rinvenimento delle reliquie e dell’arrivo del busto a Serra. L’attribuzione a Laurana ha permesso di sostenere da più parti che l’ambito di realizzazione fosse vicino alla sua cerchia. Per la qualità ritrattistica fu anche ipotizzato un lavoro in équipe con l’intervento di un ceroplasta e delle officine di argenteria e fusione interne alla certosa di San Martino.
Il busto si compone di tre parti. Il corpo, tagliato sotto le ascelle, è frontale; il santo indossa, sopra una tunica, lo scapolare con cappuccio. Il trattamento delle pieghe delle vesti è attento al dato anatomico e alla qualità materica del panno. Nonostante le dimensioni, il busto è imponente; il viso, incorniciato dal cappuccio, è connotato psicologicamente come un ritratto: lo sguardo è intenso, la bocca parlante, le vene rigonfie sulla fronte.
Il busto è arricchito da un nimbo stellato e da un collare con pietre incastonate. Tra queste vi è uno smeraldo scolpito a bassorilievo raffigurante il profilo maschile di un membro del clero, non ancora identificato, che potrebbe essere il donatore. Il monile è attribuito ad argentiere napoletano della prima metà del Settecento.
Infine il fercolo, detto vara o varia, di forma trapezoidale poggiante su quattro piedi angolari, ha agli angoli angeli reggicandela: le raffigurazioni nei quattro medaglioni in argento con iscrizioni, presenti al centro di ogni lato, permettono di ricostruire la storia della certosa alla fine del Settecento. Le scene raffigurano: i certosini incolumi al terremoto del 1783 per intercessione di san Bruno; il monogramma certosino con l’iscrizione sul restauro della certosa voluto nel 1792 da Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie (già IV re di Napoli e III re di Sicilia); la ricostruzione con maestranze a lavoro e l’iscrizione sulla riconsegna della certosa nel 1797; lo stemma del committente. L’opera fu donata da Francesco Taccone di Sitizano, questore del Regno di Napoli dal 1794, e che nel 1797 chiese la reintegrazione nella nobiltà di Tropea, città dei suoi antenati, con il titolo di marchese. Le scene del terremoto e della ricostruzione sono vivaci e ricche di particolari, con intento didascalico e commemorativo. La resa delle architetture è condizionata dall’esiguo spazio al punto da inserire le iscrizioni sulle mura perimetrali. Punzoni e bolli sulle lamine attestano che il fercolo fu realizzato a Napoli nel 1797 dall’argentiere Luca Baccaro, documentato dagli ultimi anni del Settecento ai primi trenta dell’Ottocento. Il busto poggia su una piccola base trapezoidale della stessa fattura del fercolo su cui non sono stati rilevati bolli.