Un personaggio autorevole, di sicuro prestigio e di elevata condizione sociale: le labbra serrate con fermezza, lo sguardo risoluto solo in parte celato dalle sopracciglia cespugliose. Il volto di questo personaggio ricorda in effetti vagamente quello dell’imperatore Vitellio ritratto sulle monete (Vitellio regnò per qualche mese nel 69 d.C.), e la suggestione è confermata anche dal racconto di Svetonio, che ne descrive l’estrema grassezza dovuta a crapule smodate. Tanto è bastato in ogni caso perché a questo ritratto di ignoto, vissuto almeno una sessantina di anni dopo Vitellio, venisse attribuito il nome dell’imperatore. Ciò è probabilmente avvenuto in età umanistica, quando presso i collezionisti di antichità era diffusa la prassi di attribuire un nome ai tanti ritratti antichi che scavi casuali portavano alla luce.
Al principio del Cinquecento il cardinale Grimani, personaggio di raffinata cultura e grande influenza politica tanto a Venezia quanto a Roma, aveva fatto erigere nei pressi del colle del Quirinale un grande palazzo per sé e per la propria famiglia. Il busto in esame, proveniente quasi sicuramente dallo scavo delle fondamenta di quell’edificio, non solo entrò subito a far parte della ricca collezione di opere del prelato, ma ne costituì senza dubbio uno dei pezzi più pregiati. Alla morte del cardinale (1523) un considerevole gruppo di sculture fu lasciato in eredità alla Serenissima e fu esposto in una sala di Palazzo Ducale. Tra queste sculture il busto del cosiddetto Vitellio godette da subito di una generale e incondizionata ammirazione, forse la più intensa mai attribuita a un ritratto antico; ammirazione testimoniata anche dal grandissimo numero di copie che ne furono eseguite: in bronzo, in marmo e in terracotta, ma anche in pittura ad opera tra gli altri di Tintoretto, Jacopo Bassano e Palma il Giovane. Il busto continuò a essere copiato almeno fino al XVIII secolo. Alcuni studiosi in anni passati hanno avanzato l’ipotesi che potesse trattarsi di un “falso antico” di età rinascimentale, ma lo stile ricercato e alcune caratteristiche tecniche come l’ampia forma del busto, il raffinato disegno della capigliatura a leggere ciocche, e la minuziosa incisione dei dettagli degli occhi e delle pupille incise a fagiolo, indicano che il cosiddetto Vitellio è da attribuirsi a età adrianea, tra terzo e quarto decennio del II secolo d.C.
L’intervento del restauratore ha liberato le superfici dalle estese incrostazioni giallastre, dovute a puliture parziali, che non avevano eliminato i depositi di silicati misti a ossidi di ferro, sui quali erano stati stesi un film di resina acrilica e un successivo strato di cera. La cera è stata eliminata con ripetuti impacchi di una soluzione debolmente basica e sono state asportate meccanicamente le sostanze non solubizzabili; la superficie è stata poi protetta con una leggera soluzione di resina acrilica, sulla quale è stato steso un film di cera microcristallina ad alto punto di fusione. La pulizia ha permesso di individuare alcune particolarità del ritratto finora ignorate, come i colpi inferti con uno strumento a punta arrotondata, forse un piccone (probabilmente ai tempi del suo ritrovamento); si è inoltre accertato che la testa e il busto sono stati scolpiti in un unico blocco di marmo, che comprendeva anche il peduccio a volute che funge da sostegno. Una frattura ha colpito la parte sinistra del busto, scendendo a scheggiare la parte superiore del sostegno; alla frattura si è tentato di porre rimedio nel Cinquecento, inserendo un elemento di integrazione, forse in gesso, fissato con due incassi ovali poco profondi, del quale oggi non è rimasta alcuna traccia.
Redazione Restituzioni