In un turbine di nubi, stagliandosi contro una mandorla di raggi luminosi, la Vergine appare fra vesti svolazzanti, con la corona di dodici stelle, secondo l’iconografia dell’Immacolata Concezione. Con un braccio cinge delicatamente il Bambino, che le è di fianco, trasportato da leggere nuvolette e dai cherubini. Al cospetto della sacra visione è la figura allegorica di Brescia armata, inginocchiata davanti alla Vergine che tende la mano nell’atto di presentare la sua supplica al Bambino, mentre un angioletto, brandendo una fiaccola, mette in fuga la Peste, una giovane donna vestita di nero e ripresa di spalle, con la schiena segnata dai bubboni. Nel fregio dorato della lancia appoggiata sul gradino si scorge il leone di san Marco rampante, come riferimento alla Repubblica di Venezia cui apparteneva la città di Brescia.
Il dipinto, proveniente dalla chiesa di San Bartolomeo dei Padri Somaschi a Brescia, in seguito alle spoliazioni napoleoniche è stato trasferito nel Duomo Nuovo. L’opera, insieme ad altre due pale, deve essere stata realizzata nell’arco dell’ultimo decennio del Seicento, ispirandosi al gruppo scolpito tra il 1670 e il 1674 da Giusto Le Court sull’altare maggiore della basilica di Santa Maria della Salute a Venezia. L’oblio che ha interessato l’opera, firmata “FR.PALEA. PING.”, escludendola dagli studi dedicati all’artista, èstato probabilmente motivato dal cattivo stato di conservazione. Grazie all’attuale restauro, tuttavia, è stato possibile rendere giustizia all’opera, tra gli esiti più alti di Paglia, e individuarne l’influsso del maestro Guercino, nelle fisionomie, nelle luci e nei chiaroscuri, ma anche del lombardo Giuseppe Nuvolone, con cui Paglia aveva condiviso alcune commissioni bresciane.
Il dipinto si presentava in cattivo stato di conservazione. L’instabile adesione degli strati pittorici aveva prodotto sollevamenti a scaglie, sfociati in distacchi e ampie cadute. Nella parte inferiore era stato applicato un foglio di compensato dipinto, inchiodato sul telaio originale, che si è provveduto a sostituire. Il manto pittorico presentava corpose ridipinture, molto inscurite, che occultavano vecchi danni e cadute di colore. L’alterazione e l’estensione dei ritocchi era tale da non consentire una corretta lettura dell’opera; la figura della Peste, ad esempio, risultava praticamente illeggibile. Le riprese erano state condotte per la maggior parte su stuccature, ma anche direttamente sulla tela. Il restauro ha quindi compreso la pulitura del manto pittorico, con la rimozione di stuccature e ridipinture e la pulitura del retro, con asportazione di depositi polverosi, eliminazione meccanica delle vecchie pezze, saldatura delle lacune del tessuto e, infine, rintelo a colla pasta con tela di puro lino. Il restauro si è concluso con il pensionamento dell’opera su un nuovo telaio, la stuccatura, la reintegrazione pittorica e una doppia stesura di vernice protettiva mastice prima a pennello e quindi nebulizzata.
Redazione Restituzioni