Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879), fondatore dell’omonimo museo, acquistò questo affascinante bassorilievo raffigurante l’Angelo annunziante nel 1878 dal celebre antiquario milanese Giuseppe Baslini (1817-1887). Dopo essere stata esposta per diversi decenni nelle sale del museo milanese, nel secondo dopoguerra la scultura – l’opera all’epoca era attribuita a Luca Della Robbia – fu ritirata in deposito a causa dei dubbi sorti sulla sua autenticità.
In realtà l’Angelo annunziante del Museo Poldi Pezzoli, lungi dall’essere una falsificazione ottocentesca, si inserisce perfettamente, per caratteri stilistici e tecnici, nel catalogo delle opere di Giovanni Della Robbia. Giovanni si distingue fra i numerosi membri della dinastia artistica dei Della Robbia per avere conferito alle terrecotte invetriate caratteri maggiormente decorativi e pittorici, ampliando notevolmente la tavolozza – con un uso diffuso di colori quali il verde, il giallo e il viola, in precedenza utilizzati con parsimonia in questa particolare tecnica artistica – e attingendo largamente ai modelli figurativi dei maggiori pittori fiorentini contemporanei, da Filippino Lippi a Verrocchio, da Botticelli e Domenico Ghirlandaio a Leonardo, da Fra Bartolomeo a Mariotto Albertinelli.
La figura in esame presenta rilevanti affinità con gli angeli che compaiono nelle scene dell’Annunciazione riferibili all’artista, dalla pala centinata del Victoria and Albert Museum di Londra, eseguita in terracotta invetriata bianca (1515 ca), alla lunetta del Museo Nazionale del Bargello (1521 ca), a quelle, inserite all’interno di cornici circolari, dell’Ospedale del Ceppo di Pistoia (datata 1525) e della chiesa di San Domenico a San Miniato.
Nel caso dell’opera in esame la scena si componeva di due figure separate e disposte a pendant: l’Angelo annunziante doveva accompagnarsi a una Vergine annunciata racchiusa all’interno di un’identica cornice circolare a ovoli e punte di lancia.
La robbiana del Museo Poldi Pezzoli non fu probabilmente mai messa in opera, a causa dei notevoli danni e delle deformazioni avvenuti in fase di cottura; in data imprecisata fu ricomposta mediante l’applicazione sul retro di un’abbondante colatura di gesso, che è stata rimossa durante il restauro eseguito da Pia Virgilio, nel corso del quale sono stati inoltre uniti correttamente fra loro i frammenti ed eliminati gli antiestetici segni dei vecchi interventi, che penalizzavano fortemente la fruizione dell’opera.
L’Arcangelo Gabriele si colloca per ragioni stilistiche intorno al 1515-1520, come conferma il confronto con la lunetta raffigurante la Visitazione custodita al Museo Bandini di Fiesole, databile nel 1517 ca e proveniente dal portale della chiesa di San Michele in Palchetto a Firenze, che presenta con esso stringenti affinità stilistiche e compositive, evidenti nelle fisionomie delle due donne, nei nimbi realizzati con dischi tridimensionali di colore giallo che invadono lo spazio dello spettatore e, nella visione dal basso, sormontano prospetticamente la cornice, e nel cielo percorso da nubi e raggi di sole, dipinto a vivaci colori con rapidi e sommari tocchi di pennello. Analoghi cieli dai caratteri prettamente pittorici sono presenti anche in altre opere eseguite da Giovanni Della Robbia intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento, come la pala con la Pietà del Bargello proveniente dalla cappella dell’Orto dell’Ospedale di Santa Maria della Scala (1514) o l’Assunta e i santi Tommaso, Giovanni Battista e Lorenzo dell’oratorio della Madonna delle Grazie a San Giovanni Valdarno (1515 ca).
È possibile, infine, individuare un modello pittorico illustre all’origine della composizione dell’opera in esame, rielaborato con numerose varianti, nell’angelo annunziante inginocchiato dipinto nel 1485-1490 ca da Domenico Ghirlandaio nella cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella a Firenze, in particolare per le pieghe del panneggio della veste gialla, ornata da una doppia fascia incrociata sul petto, e la posizione delle gambe e delle braccia dell’arcangelo.