In uno spazio estremamente serrato sono rappresentati, con un’efficace inquadratura a mezzo busto, a zoom, un Cristo dal malinconico profilo, con il viso appoggiato alla propria croce; uno sgherro minaccioso che lo trascina con una corda; e le figure, assolutamente singolari, di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, chiamati a condividere, in modo diretto, frontale, il dramma di Cristo.
I due personaggi occupano il centro dell’immagine, in senso geometrico e simbolico: Nicodemo, con il viso tondo, solido, taglia a metà il dipinto e fa scivolare lo sguardo pietoso su Cristo. Gli sta accanto Giuseppe d’Arimatea, con espressione profonda e assorta, le mani giunte e il prezioso copricapo ricamato che lo accomuna a Nicodemo, offrendosi al devoto spettatore come esempio di immedesimazione nella contemplazione del sacrificio di Cristo.
La tavola risultava già nella raccolta del conte Luigi Tadini a Crema nel 1796, quando veniva citata da Luigi Lanzi. La tavola passò nella Galleria di Lovere, dove venne collocata da Gustavo Frizzoni fra i capolavori esposti nelle prime sale. Tuttavia, nel corso del tempo, furono espresse alcune perplessità circa l’autografia dell’opera, ora pienamente confermata dal restauro. Permangono invece alcuni dubbi circa l’iscrizione, a partire dalle discrepanze tra quanto si legge oggi sulla tavola e quanto rilevato da Tadini, che in due occasioni riporta (con errore per la data 1737) “Marcus Palmesanus Forliviensis pin. an. 1737” e “Marcus Palmezanus Forliviensis pinxit 1537.
La grafia sul cartiglio è diversa dalla minuscola umanistica che compare in opere anche cronologicamente vicine e la forma “forumliviensis” è unica nel corpus di Palmezzano: è dunque possibile che l’iscrizione sia stata rifatta sul cartiglio originale tra fine Settecento e inizio Ottocento. La testimonianza di Tadini, tuttavia, avalla la data 1537, in corrispondenza con la tarda attività di Palmezzano, nell’ambito di una produzione devozionale legata alla nuova sensibilità religiosa di medio Cinquecento.
La tavola presentava una spaccatura longitudinale, risarcita in antico mediante quattro masselli in legno ancorati sul retro. Il quarto massello, di forma triangolare, è stato mantenuto, se pure con opportune modifiche. La tavola, già oggetto di un intervento settecentesco (occasione in cui venne reincorniciata), era stata più tardi piallata, con la perdita di una porzione di tavolato.
Per il supporto si sono quindi resi necessari, in seguito alla pulitura e rimozione delle vernici, un nuovo incollaggio della connettitura tra le due tavole, la fermatura delle fessurazioni e l’applicazione di un nuovo telaio mobile. Per quanto riguarda la superficie pittorica, l’intervento è stato preceduto da analisi stratigrafiche che ne hanno confermato l’autografia. Si è quindi proceduto con la pulitura, preceduta dal consolidamento degli strati pittorici, e con la reintegrazione pittorica nelle parti più deturpanti. Notevole il recupero nello sfondo di alcuni dettagli iconografici, con le silhouette di armigeri contro l’orizzonte segnato dal profilo della morbida collina: un particolare che rievoca la formazione centro-italiana di Palmezzano, discepolo di Melozzo da Forlì.
Redazione Restituzioni